Foto: Laura Sheridan Art
In questo periodo di incertezza mondiale dove un virus ci mette in ginocchio e si torna a fatica ai vecchi sistemi pur riconoscendo quanto obsoleti essi siano, c’è bisogno di leggere “Il Calice e La Spada – La civiltà della Grande Dea dal Neolitico ad oggi” di Riane Eisler come di respirare l’aria buona di montagna. Ringrazio tantissimo le sacerdotesse Giorgia Giacomini e Chandani Alesiani per avermi segnalato quest’opera.
Più che scrivere una recensione, voglio commentare liberamente ciò che ho letto con impressioni e riflessioni personali. Non siamo di fronte ad un libro femminista sul matriarcato che mette in cattiva luce il patriarcato. No. Scoperte archeologiche alla mano, la sociologa Riane Eisler, ebrea austriaca che è scampata per un soffio ai campi di concentramento nazisti, dimostra che nel Neolitico esisteva una società egualitaria dove uomini e donne avevano lo stesso peso, chiamata “gilania”, termine coniato dall’archeologa lituana Marija Gimbutas, che riunisce le radici greche “gy” per donna (gyné, greco antico) e “an” per uomo (andros).
È possibile tornare a questo stato di cose cancellato dalla storia ufficiale non per complottismo ma perché “la storia la scrivono sempre i vincitori”? Sì, tramite la teoria della trasformazione culturale sostenuta da Eisler, secondo la quale la storia è il risultato dell’interazione tra due movimenti evolutivi. Il primo è la tendenza dei sistemi sociali a svilupparsi da uno stato primitivo verso forme organizzative più complesse, attraverso fasi legate a cambiamenti tecnologici; il secondo è il movimento di cambiamenti culturali generati dall’interazione tra due modelli fondamentali alla base dell’organizzazione di un sistema sociale ed ideologico definito da Riane androcrazia (di dominio) e gilania (mutuale o di partnership). Il cambio di direzione verso un modello di collaborazione può contribuire ad una svolta e ad un significativo cambiamento del sistema attuale.

Gilania
Le prime rappresentazioni della divinità avevano forma femminile. Quando gli antichi si accorsero che la donna era fonte di vita perché in grado di crearla iniziarono a venerare il genere femminile. Per la grande quantità di statuette con le sembianze di donna rinvenute nel XIX secolo, rappresentanti la Dea Madre, si è pensato automaticamente che prima dell’attuale società patriarcale, ci fosse un matriarcato. Le prove però non supportavano questa teoria, quindi gli studiosi tornarono al loro pensiero originario: il dominio maschile era presente anche prima delle civiltà antiche che conosciamo. Tuttavia, i dati archeologici sull’era neolitica dimostrano che esistessero delle società matrilineari in cui le donne avevano un ruolo centrale ma gli uomini non erano subordinati e repressi, anzi la loro posizione era ugualitaria. Riane analizza il sito neolitico di Çatal Hüyük in cui si evince che nei templi c’erano sia sacerdoti che sacerdotesse, anziani di tutti e due i sessi erano importanti e rispettati. Gimbutas, importantissima negli studi sulla cultura neolitica e l’età del bronzo dell’Europa antica, scrive che “il mondo del mito non era polarizzato in maschile e femminile come avveniva tra gli Indoeuropei e le altre popolazioni nomadi delle steppe dedite alla pastorizia. I due principi si manifestavano l’uno accanto all’altro. La divinità maschile, con l’aspetto di un giovane o di un animale maschio, sembra affermare e consolidare le forze della femmina attiva e creatrice. L’uno non è subordinato all’altra: completandosi reciprocamente il loro potere raddoppia”. Una minuscola placca in pietra di Çatal Hüyük mostra un uomo e una donna abbracciati e a fianco il risultato della loro unione, una madre che tiene in braccio un figlio. Le civiltà neolitiche capivano l’uguale importanza dei due sessi per la procreazione.

Creta
Un grande esempio di cultura gilanica è la Creta minoica. Era una società progredita e complessa, nella quale sono assenti statue, rilievi o ritratti di chi sedesse sul trono di Cnosso, così come non si trovano scene di battaglia o caccia. In soldoni, non compare l’idealizzazione del potere distruttivo e della violenza maschile. Infatti Creta visse millecinquecento anni di pace in un periodo di guerre in tutto il mondo antico. Sull’isola c’era un modello di società mutuale, il governo rappresentava gli interessi delle persone molto tempo prima della comparsa della democrazia in Grecia (nata per non far litigare i demos, le tribù di Atene). Il fatto che le donne avessero una condizione sociale elevata, non significava che quella degli uomini fosse inferiore. “L’essere sessualmente liberi dei cretesi ha ridotto e sublimato la loro aggressività”, riferisce l’archeologa inglese Jacquetta Hawkes in Dawn of the Gods (1968). Riane Eisler ci avverte che gli storici, anche se riconoscono le osservazioni precedenti fatte sulla cultura minoica, le fanno passare come marginali e le attribuiscono poca importanza. Il motivo? Hanno adattato all’ideologia prevalente ciò che osservavano. Solo Jacquetta Hawkes, guarda caso una donna, ha definito la civiltà minoica “esplicitamente femminile” perché “il ruolo preponderante svolto dalle donne nella società è dimostrato dal fatto che esse prendevano attivamente parte a tutti gli aspetti della vita dei secondi palazzi”. Anche lei però non indaga ciò che implica la sua importante affermazione. L’influenza del patriarcato è ancora troppo pesante all’inizio della rivoluzione femminista.

Il passaggio al patriarcato
Dal V millennio a.C. sono state ritrovate tracce di disgregamento delle culture neolitiche del Vicino Oriente e dell’Antica Europa: invasioni e catastrofi naturali sono la causa della loro distruzione. Un periodo di limbo e stagnazione culturale che durerà duemila anni fino alla comparsa della civiltà sumera ed egizia. Ci furono tre ondate migratorie principali dei pastori delle steppe chiamati Kurgan determinate dalla dendrocronologia e dalle radiazioni al radiocarbonio: la prima ondata fu tra il 4.300-4.200 a.C., la seconda tra il 3.400 e il 3.200 a.C., la terza tra il 3.000 e il 2.800 a.C. I Kurgan erano del ceppo linguistico indoeuropeo o ariano, provenivano dal nord-est asiatico ed europeo (non erano “indiani”). Il termine indoeuropeo connota infatti una lunga serie di invasioni di popoli nomadi provenienti da queste regioni. Ciò che unisce queste popolazioni è la struttura dei loro sistemi sociali ed ideologici: patriarcale. Una struttura gerarchica a dominio maschile. I Kurgan acquisivano la ricchezza materiale con tecnologie non di produzione ma di distruzione. Usavano i metalli, già conosciuti dai neolitici per fabbricare attrezzi o oggetti ornamentali, per offendere i loro simili fondendo armi. Il processo di passaggio da una società mutuale ad una “dominatore”, come la definisce Riane, fu complesso e graduale ma la guerra è stato uno strumento essenziale per il suo cambiamento definitivo. Tra i Kurgan la spada era il loro dio, come dimostrano le incisioni nelle loro caverne: i loro simboli erano la daga e l’ascia, i loro Dei maschili, eroici e virili. Questo tipo di mutamento è raccontato in molte mitologie europee, come nella guerra tra Aesir (Dei provenienti dall’Asia) e Vanir (gli Dei indigeni della Scandinavia) nella tradizione norrena. Questi ultimi sono tutti pacifici mentre quelli nuovi, uomini, sono divinità del controllo, della guerra e piuttosto violente. Dalle testimonianze archeologiche sembra che lo schiavismo abbia tratto origine dalle incursioni armate dei Kurgan. Questo insieme di popoli si appropriò delle culture già presenti in Europa e Medioriente e della loro simbologia mutando per sempre il volto della storia.

La rimitizzazione del mondo antico
Ogni invasione generava un impoverimento culturale. Si crearono delle culture ibride, miste tra antichi Europei e Kurgan, che allevavano soprattutto bestiame ed erano tecnologicamente indietro rispetto alle culture precedenti. L’ultima civiltà a cadere fu quella della Creta minoica, 3.200 anni fa. Nell’era neolitica le nuove tecnologie venivano usate per rendere la vita più piacevole, nel nuovo ordine causavano distruzione. Nell’Orestea di Eschilo la madre di Oreste, Clitemnestra, viene uccisa dal figlio e questo viene assolto per il delitto. Oreste è graziato da una divinità femminile, Atena, per legittimare con diplomazia culturale chi fosse in quel momento in poi a comandare: il maschio. La matrilinearità era nulla in confronto alla patrilinearità. La Bibbia fu riscritta da una casta sacerdotale di uomini che voleva consolidare e mantenere il suo potere, le numerose influenze dei miti precedenti delle popolazioni semitiche furono letteralmente “rappezzate” in una serie di episodi che presentano notevoli discrepanze l’uno dall’altro. In tutti i passi biblici c’è scritto “figlio di suo padre”, “figlio del Dio padre” e “generato dal padre”. Le menti dei popoli sono state trasformate dalla logica del patriarcato nel corso di diversi millenni attraverso la distruzione degli idoli, la coercizione personale, dimostrazioni sociali di forza: il controllo tramite la paura andava forte. Uno degli strumenti più importanti per il condizionamento sociale furono gli antichi sacerdoti con la loro “educazione spirituale”. Appartenevano a caste sacerdotali al servizio delle élite maschili che governavano i popoli. I sacerdoti erano spalleggiati da eserciti, tribunali e boia, e il tutto era giustificato dal fatto che rappresentassero l’autorità divina in Terra. Si diffuse una società gerarchica, oligarchica (in mano a pochi), dove le donne erano allontanate da tutte le posizioni di responsabilità e potere.

La lettura del passato
Il passato però non è costituito da un continuo regno del patriarcato incontrastato come possiamo leggere sui libri di storia androcentrici che vengono ancora propinati nelle scuole. C’è stata un’alternanza di periodi di supremazia gilanica e di regressione androcratica. G. Rattray Taylor, storico precursore dell’analisi storica vista come lotta tra valori maschili e femminili, nel suo libro Sex in History, dice che alla base dei cicli di oscillazioni storiche da atteggiamenti sessualmente tolleranti ad atteggiamenti sessualmente repressivi ci sono i mutamenti dei valori identificati con il padre o con la madre. Nel XIX secolo ci fu la crisi del dominio maschile con l’arrivo della Prima Guerra Mondiale. Nel frattempo avvenne la prima ondata di femminismo che sfidava i valori fondamentali del nostro sistema attribuiti alla donna, gli stereotipi sessuali convenzionali. Purtroppo però ad un periodo di “caos” (più libertario) sembra seguire sempre uno di richiamata all’ordine (conservatore) in un sistema patriarcale, perciò le guerre sono state sempre una scusa per riaffermare lo stereotipo virile. Gli studi hanno dimostrato che “i periodi di guerra e repressione si possono prevedere in base all’indebolimento dei valori gilanici di affiliazione o di unione e al contemporaneo rafforzamento dei valori androcratici di potere aggressivo o di gerarchizzazzione sostenuta dalla forza. Dietro ai mutamenti della storia documentata si nasconde l’ostacolo maggiore della nostra evoluzione culturale: un sistema sociale in cui la metà femminile dell’umanità viene dominata e repressa”.
Mia conclusione
Il Covid e le trasformazioni climatico-ambientali che sta attraversando la Terra potrebbero dare la spinta per il cambiamento? È probabile. Anche se non è detto. Spesso e volentieri l’umanità deve essere rassicurata in periodi di profonda crisi a vari livelli. Non abbiamo bisogno né degli anni Cinquanta né dei ruggenti anni Venti (in cui il cambiamento è stato effimero) né della rivoluzione sessuale di fine anni Sessanta. Il cambiamento di cui stiamo parlando è più profondo e sistemico. Dalla nostra abbiamo che mai come adesso c’è stato un fenomeno senza precedenti nella storia: un alto tasso di persone istruite e l’informazione senza confini. Tutti siamo coscienti di soprusi e avvenimenti che accadono nel mondo. Ciononostante le maglie del sistema dominatore si insinuano nella rilevanza delle notizie che ci distraggono da altre di più peculiare importanza. Il patriarcato è connesso a tutti gli “ismi” negativi (capitalismo, razzismo, fascismo, maschilismo) e sta logorando sempre di più il nostro equilibrio mondiale con leader politici pericolosi come Trump, Putin o Bolsonaro, per nominarne alcuni, che traghettano a passo spedito l’umanità verso la propria rovina. Abbiamo bisogno di un sistema sociale ed economico completamente diverso che comprenda i bisogni di tutti, non solo uomini, bianchi, eterosessuali cisgender. La società mutuale viene chiamata da Riane Eisler “partnership” e dalla fine degli anni Ottanta sono partiti tanti studi influenzati dal suo libro. Nel 1987 è stato fondato il Center for Partnership Studies, un’impresa senza scopo di lucro dedicato alla ricerca, all’educazione, alla consulenza legale, alla difesa e promozione dei diritti umani per accelerare il cambiamento dal modello dominatore alla partnership nel mondo. In Europa c’è il Partnership Studies Group, composto da studiosi di università e centri di ricerca internazionali (in Italia è all’università di Udine). È giunto il momento di far conoscere la società mutuale a più persone possibile per la sopravvivenza dell’umanità. Acquistate il libro della Eisler e parlatene a più gente possibile, sperando di formarne sempre di più come agenti di cambiamento del potere dominante senza farsi inglobare da un sistema che sembra più grande di loro ma non lo è.

One Reply to “Prima del patriarcato non c’era il matriarcato: un excursus nella società mutuale descritta da Il Calice e La Spada di Riane Eisler”