La rivoluzione queer di Sveva Basirah nella religione musulmana: Sono L’unica Mia è il primo sito italiano dedicato al femminismo islamico

L’Islam non è come lo raccontano i media. È una religione con un potenziale progressista che è stato a lungo sottovalutato spesso dai suoi stessi membri. Questo è il concetto principale scaturito dalla chiacchierata con Svevah Basirah, fondatrice del sito Sono L’unica Mia. La dimostrazione sta nel femminismo islamico, un movimento che non è nato oggi ma affonda le sue radici in Tunisia, Egitto, Marocco, Stati Uniti con al-Tahar al-Haddad, il primo uomo femminista tunisino, Huda Shaarawi, femminista del movimento egiziano per i diritti delle donne, Fatima Mernissi, sociologa marocchina, Amina Wadud, religiosa afroamericana, Riffat Hassan, teologa pakistana-americana.

In Italia la situazione del femminismo musulmano era frammentata, per questo Sveva ha pensato di fondare cinque anni fa un sito sul femminismo islamico LGBTQI+ friendly e sugli abusi sessuali aperto a tutti coloro che vogliano contribuire. Questa ragazza ventunenne ha dovuto maturare le sue posizioni politiche e sociali in fretta per l’ esperienza traumatica con un fidanzato violento che le ha lasciato ferite fisiche, psicologiche e spirituali. Sveva però ne è uscita forte e produttiva, e ha fatto la differenza creando uno spazio virtuale sicuro e aiutando i sopravvissut* di violenze sessuali.

Nella nostra lunga conversazione ho capito che l’Islam può prestarsi alla strumentalizzazione per via degli hadith, le migliaia di narrazioni sulla vita del Profeta Maometto, scritte almeno duecento o trecento anni dopo la sua morte, che spesso possono essere prodotto di fantasia. Molto dipende dalla cultura e istruzione di chi li interpreta e classifica come veri, probabili e falsi. Per esempio, le donne islamiche possono indossare fissi i guanti perché c’è un hadith che dice “preferisci avere un chiodo in testa, piuttosto che una donna che non ti sia lecita”. Sveva riferisce che le persone non influenzate dal patriarcato comprendono significhi “non molestare”, altri esegeti invece hanno pensato che la donna abbia la responsabilità di non farsi toccare e quindi debba coprirsi con dei guanti. “Molti musulmani”, spiega l’attivista e blogger, “sono incapaci di gestire la propria ijtihad, la facoltà di interpretare l’Islam nella maniera che si ritiene migliore”. Diritto accantonato nel tempo dalle istituzioni islamiche, che hanno preferito guidare i fedeli invece di lasciargli il libero arbitrio.

Come concili l’Islam con il femminismo?

L’Islam è spesso concepito come una religione completamente patriarcale. Dal mio punto di vista, certamente nasce nel patriarcato ma non porta avanti le sue logiche, cerca con lungimiranza di cambiare gli assetti sociali e dargli anche una spinta per farli diventare dei principi di uguaglianza e rispetto. Questa visione si può chiamare etica progressiva del Corano, l’ho tradotta come progressiva da un articolo della professoressa Iman Hajji, che ha scritto una ricerca su al-Tahrir al-Haddad, il primo femminista tunisino. Lui diceva che l’Islam si poggia su una giurisprudenza progressiva che tende ad adattare i suoi principi alle condizioni specifiche di tempo e spazio. La sua interpretazione femminista è stata adattata alla legislazione dal primo presidente della Tunisia Habib Bourghiba. Si possono conciliare femminismo e Islam andando a riscoprire l’essenza e lo scopo di questa religione, questo viene fatto dalla corrente mondiale del femminismo islamico. Si tratta di un movimento che rilegge, ristudia e riapplica tutto quello che per noi musulmani è fonte sacra.

Chi ha dato l’avvio al femminismo islamico?

È un movimento che si è formato nel tempo. I nostri pilastri sono le teologhe. Tra le più grandi e conosciute ci sono Amina Wadud e Riffat Hassan, quest’ultima è la teorica dell’aborto libero, poi il femminista al-Tahar al-Haddad. Il femminismo islamico è una visione collettiva di battaglie diverse con il fine comune di riscoprire i diritti divini dell’Islam, come dice Wadud: “Non permettere che nessuno si metta tra te e quello che Dio ti ha garantito”.

Che tipo di rapporto hai col velo?

Quando cinque anni fa mi sono convertita non l’ho portato per qualche settimana perché mi ero appena lasciata col mio ex violento che era musulmano e non volevo che pensasse lo mettessi per lui. Appena saputa la notizia della conversione, la mia famiglia mi ha mangiata viva e quindi ho deciso di indossarlo in simbolo di protesta. Adesso lo vivo come una scelta politica. Il velo è un po’ un coming out vagante. Appena la gente capisce che sono italiana, mi ignora: mi toglie il saluto e non mi parla. Il velo è il mio impegno nella vita, significa portami dietro la mia identità di musulmana. L’attivista Neda Al-DaMonee, pole dancer col velo, racconta in un Ted Talk che fa il suo lavoro da infermiera con questo accessorio perché vuole evidenziare il suo credo. Così i pazienti scoprono che dietro di esso c’è una persona di cui ci si può fidare e questo distrugge il razzismo islamofobo che hanno interiorizzato. Quando indosso il velo sono la meno bianca tra le bianche e vengo guardata male anche negli ambienti femministi. Per questo motivo di fredda accoglienza, ho sentito la necessità sin da subito di creare uno spazio tutto mio, ovvero il sito di Sono L’unica Mia, dato che non mi sentivo rappresentata. Dal punto di vista teologico non considero il velo obbligatorio, tuttavia ci sono tante motivazioni per portarlo. La rapper siriano-americana Mona Haydar in un video diceva che il velo è la protezione del settimo chakra. Il velo è un atto spirituale e politico, che manda un messaggio quasi anticapitalista: io non mi adeguo a delle norme sociali, io valorizzo me non solo come corpo ma anche come spirito ed essere religioso. Lavorando con le energie e comprendendo che sono donna, animale, energia e spirito, sono riuscita a fare mio il concetto che il velo è l’ultimo strato simbolico di un essere umano. Serve a ricordarmi che non sono solo questo corpo.

Sveva con la maglietta di SLUM (Sono l’unica mia).

In quanto donna bianca occidentale privilegiata convertita all’Islam che genere di battaglie devi combattere in Italia?

Il mio privilegio si svigorisce quando metto il velo. Non vengo più percepita come italiana oppure se mi riconoscono come tale sono considerata traditrice della patria. Indubbiamente ho dei privilegi come avere documenti in regola, una famiglia italiana con cui ho una vita serena. Inoltre, non sono costretta a frequentare un ambiente religioso o una moschea. Non posso dire la stessa cosa di alcune altre sorelle musulmane non italiane, che potrebbero subire più da vicino di quanto possa succedere a me abusi spirituali (e ne ho subiti molti). Io mi occupo di survivor da violenze sessuali e quando ti trovi di fronte forze dell’ordine o personale sanitario con dei pregiudizi, fai molta fatica a combattere anche questa battaglia mentre ne stai combattendo un’altra. L’islamofobia è all’ordine del giorno e il razzismo interiorizzato rallenta le procedure di denuncia e del consultorio.

Le ferite psicologiche e fisiche degli abusi del tuo ex violento come ti hanno influenzata nella vita?

Moltissimo. L’esperienza di un anno e mezzo che ho fatto con il mio ex violento è stato un corso accelerato perché ho potuto toccare con mano che cosa siano la violenza e le sue dinamiche. Questa si è trasformata in una lotta politica personale, visto che adesso sono aiuto survivor. Sono uscita dalla storia di violenza fisica, psicologica, spirituale pensando che uno dei miei diritti fosse avere una relazione sana. Non sono venuta a contatto solo con l’abuso narcisistico, che ho subìto io, ma anche con uomini eterosessuali cisgender che sono stati abusati dalle compagne, persone lgbtqi+ o impegnate in relazioni poliamorose. Ho lavorato con tante comunità, tra cui quella musulmana. Aiuto da casa ma ho intenzione di costituire un’associazione e una linea telefonica perché sono un po’ sobbarcata e sono andata spesso in burnout, superato grazie ad aiuto psicologico e spirituale. La storia col mio ex violento ha rivoluzionato anche il mio sentire religioso e spirituale perché ho pensato che tutto quello che lui demonizzava probabilmente è giusto. Se gli ho dato fastidio, sono sulla strada giusta.

Cosa significa per te essere queer?

Sono una persona LGBTQI+ pansessuale che ha fatto coming out da poco perché avevo delle questioni da risolvere con gli uomini dopo le violenze. Ho sempre lottato per i diritti LGBTQI+ dentro la comunità musulmana ma non mi ero mai identificata come tale, sbagliando anche i termini, ero molto impaurita. Il coming out mi ha permesso di essere me stessa e mi ha portato grande serenità. Sono queer non solo perché LGBTQI+ ma perché la corrente della queerness nel suo aspetto identitario e politico si applica molto alla mia vita.

Nell’ultima serie di Queer Eye su Netflix aiutano un prete gay dell’Evangelical Lutheran Church of the Atonement dove intervistano il primo vescovo apertamente gay e un prete apertamente transgender entrambi della chiesa luterana. Ci sono esempi simili nelle istituzioni musulmane, che ricordiamo non ha un clero?

Nella storia sono state spesso presenti figure rilevanti della comunità musulmana omosessuali, dichiarati e non. Nel mondo moderno esistono tanti imam apertamente gay come Daayiee Abdullah e il famoso Ludovic Mohamed Zahed, della moschea inclusiva di Parigi, al-Farouk Khafi e altri. Ci sono anche imam donna come Sherin Khankan che ha fondato la prima moschea guidata da donne a Copenhagen, e Seyran Ates della moschea libera di Berlino dove uomini e donne possono pregare insieme, quest’ultime senza velo. Esiste anche un’associazione per i diritti dei musulmani LGBTQ+ fondata nel 1999 in Inghilterra chiamata Hidayah. Quest’anno ci doveva essere il Pride a Londra LGBTQI+ musulmano ma poi è stato annullato causa Covid.

Il corano parla di sesso libero per puro piacere?

Certo. Nell’Islam il sesso è percepito come un dono di Dio. Ci sono una cinquantina di hadith che incoraggiano a vivere con piacere la sessualità. In alcuni il Profeta consiglia caldamente ai suoi compagni di praticare sesso orale alle proprie compagne e di prestare attenzione ai loro orgasmi. Maometto non ha mai proibito i matrimoni temporanei, è successo a posteriori. Erano un’usanza pre-islamica mantenuta dagli Sciiti, che purtroppo oggi fa rima spesso con prostituzione di minore. Nel passato si trattava di un contratto tra due partner che volevano fare sesso e si godeva degli stessi diritti di un matrimonio normale. Eventuali figli che potevano capitare erano considerati come quelli di uno legittimo. Il matrimonio temporaneo era stipulato in un modo che potesse durare da un’ora a novantanove anni. Era importante perché l’Islam penalizzava il rapporto al di fuori del vincolo matrimoniale, e tutelava le persone perché non esistevano metodi contraccettivi o di identificazione del padre. All’epoca del Profeta era molto semplice sia sposarsi che divorziare, l’unica cosa che si chiedeva alle donne prima era di aspettare tre mesi per vedere se fossero incinte. Il divorzio era semplice perché non manipolato dagli altri. L’Islam ha una visione su sesso, sessualità, diritti riproduttivi molto ben elaborata, soprattutto spinge verso una rimodulazione delle leggi sempre più egualitaria e funzionale.

Sono l’Unica Mia è un blog e una pagina Facebook creata da te nel 2015 alla quale contribuiscono più voci. Come è nato il progetto e chi ci partecipa?

Il blog è stato trasformato in un sito e abbiamo un gruppo privato per gli attacchi di cyberbullismo che minavano il nostro spazio sicuro, però cerchiamo di non ghettizzarci. Siamo una community sparsa in tutta Italia e all’estero, facciamo rete con diverse realtà. Vorremmo trasformare il progetto in un’associazione. Il sito si basa sugli sforzi delle persone che ci sono dentro. Ci sono articoli e traduzioni da altre lingue su ogni argomento.

Hai una grande conoscenza di pietre e cristalli, hanno a che fare con la tua fede o è una passione “pagana”?

Non è un qualcosa che devi fare in quanto musulmano, è un interesse mistico-spirituale che mi è nato spontaneo lavorando con le energie. Io sono una strega e ne conosco molte di musulmane che però non hanno fatto coming out come me. Ci sono comunità magiche musulmane che vengono scartate e viste male. Non bisogna essere per forza streghe per conoscere le proprietà curative delle pietre. Io poi le uso per fare amuleti e analizzo il loro significato. I musulmani hanno sempre usato le pietre per guarire o proteggersi. Sono anche una cartomante. Mi confronto sempre con altre streghe per crescere e comprendere l’arte magica. Penso che pure il definirsi strega sia un atto politico.

Logo di Sono l’unica mia (SLUM).

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