Il vampiro è l’erede della strega. Warning: nel folclore non è sexy come nella letteratura! – 1a Parte

Foto copertina by Roberto G., giacca: PunkRave, location: Chiesa di Santa Maria della Rocca, Offida.

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La mia fascinazione per i vampiri è probabilmente nata con Buffy l’ammazzavampiri. Per la prima volta (non ho vissuto gli anni Ottanta), vedevo dei vampiri giovani, vicini all’adolescenza, pur se gli attori spesso avevano dieci anni in più del personaggio interpretato. Angel era bello e affascinante, ma poi, mano a mano che crescevo, è stato soppiantato da Spike, il vampiro punk egocentrico che sembrava conoscesse solo relazioni tossiche. Ero talmente fissata che ci scrissi una fanfiction, Figlia delle Tenebre, che ora è su Wattpad. Piano piano scoprii i classici della storia cinematografica sui vampiri, anche se Buffy rimaneva il mio preferito perché era l’unico prodotto con un taglio attuale. In seguito, il ricordo della serie è stato oscurato da Twilight, True Blood, The Vampire Diaries, che hanno incluso i vampiri a pieno titolo e con le loro innumerevoli complicanze nella vita degli umani, soddisfacendo un po’ quello che mancava in Buffy: una vera inclusione di questi esseri nel quotidiano (eccetto Spike e sempre con riserva). Essendo la figura del vampiro fortemente sessuale, non potevo non trattarla in questo blog.

Origine del nome: varie ed eventuali

L’origine del vampiro si perde nell’antichità: a volte spettro, altre morto vivente. Il momento di formazione della sua figura risale alla Grecia, con le lamie, esseri femminili spaventosi che succhiavano il sangue dei neonati. Una sorta di fate malvagie che erano la spiegazione popolare delle malattie dei bambini (così come i lilitu in Mesopotamia).

La provenienza della parola “vampiro” è fumosa come la nebbia di Dracula. Il termine di derivazione più probabile è dal turco settentrionale uber, “strega”. La parola vampir deriverebbe dal lituano wempti (bere) e wampiti (mormorare). Il termine, in sé, era in uso in passato solo tra i romeni della Macedonia. In Romania, invece, i vampiri erano chiamati strigoi, streghe (inteso in senso non binario) che continuavano ad agire dopo la morte. Si pensava che questi urlassero durante le loro battaglie notturne, per questo si usava il verbo striga, che significa “urlare”. Nosferatu è un termine incerto. Qualcuno lo fa derivare dal rumeno “nosferat”, probabilmente un figlio nato morto da una coppia illegittima, di cui sia la donna che l’uomo erano figli illegittimi, ma di fatto non esiste. C’è solo Necurat, che indica gli spiriti malvagi di cui non si vuole pronunciare il vero nome. La prima attestazione della parola upir risale a Russia nel 1047, forse però come soprannome.

L’anno dei vampiri

La parola vampiro si diffonde per la prima volta negli anni venti e trenta del diciottesimo secolo quando esplodono le prime epidemie vampiriche in Europa orientale. Dopo la pace di Passarowitz del 1718, che concluse la guerra tra l’Impero Ottomano e la Repubblica di Venezia, iniziano scambi e studi sul ritorno dei defunti malevoli nei Balcani. Altri fattori determinanti furono i contatti con la Russia, l’ascesa della Prussia e l’espansione asburgica ai danni dell’Impero Ottomano. Difatti, l’Austria prese parte alla Serbia settentrionale, compresa Belgrado.

Il 1732 fu l’anno dei vampiri. Si diffuse in tutta Europa la relazione medica Visum et Repertum del medico militare austriaco Johann Flückinger, inviato nel villaggio serbo di Medvegia per indagare sui non morti che terrorizzavano la popolazione. Disse di aver riesumato tredici corpi sospetti in condizioni integre e di aver incaricato i romaní del posto di bruciare i cadaveri, poi gettati nel Morava. Il suo resoconto creò un’accesa discussione negli anni successivi che fece scaturire Dissertazione sopra i vampiri del cardinale Giuseppe Davanzati, nunzio papale a Vienna, e Dissertations sur les apparitions des anges, des démons et des esprits, et sur les revenans et vampires de Hongrie, de Bohême, de Moravie et de Silésie del benedettino francese dom Augustin Calmet. Per loro causa, l’immaginario del vampiro da allora in poi sarà legato indissolubilmente ai Balcani e all’Europa centrorientale.

Il vampiro folclorico è greco

Dal XVI al XVIII secolo la Grecia era assoggettata al dominio ottomano e quindi piena di morti irrequieti. Un paese dominato diventa pieno di scheletri nell’armadio. Il primo autore a descrivere la credenza greca nei vampiri è l’umanista pugliese Antonio De Ferrariis, vissuto nel Quattrocento, detto Galateo, nel passaggio sulla stregoneria nel De Situ Iapygiae (Descrizione del Salento). Il vampirologo Marco Di Serre riporta la prima testimonianza bizantina, secondo cui i vampiri sarebbero responsabili delle pestilenze, una superstizione negata dalla Chiesa. Parla di corpi ritrovati integri con capelli, barba, unghie e denti allungati. Nel 1657 il missionario gesuita François Richard farà una relazione sui vroukolakes (cadaveri di uomini malvagi spesso scomunicati, il termine significa lupo mannaro in tutte le lingue slave tranne il serbo-croato) dell’isola di Santorini. Ma è l’erudito greco Leone Allacci a descrivere la superstizione vampirica nel suo Trattato sulle Credenze superstiziose della Grecia medievale, in modo più ampio e dettagliato. Sulla base di rarissimi manoscritti medievali, diceva che un demone entrava nel cadavere di un morto e lo rianimava, rendendolo gonfio come un tamburo. Uscivano dalle tombe per bussare alle porte degli abitanti e se qualcuno rispondeva loro, moriva il giorno successivo. Le persone si sbarazzavano di questi corpi bruciandoli.

La Grecia è un ricettacolo di storie di morti che tornano sin dall’antichità. Una delle più emblematiche è quella di Filinnio e Macate nel Libro delle Meraviglie di Flegonte di Tralle, segretario dell’imperatore Adriano. Questa storia ha ispirato La sposa di Corinto di Goethe (1797), una ballata che aveva tratto da una raccolta seicentesca di storie di fantasmi (Anthropodemus Plutonicus di Johannes Praetorius). La ragazza non tocca cibo durante la cena e beve avidamente vino rosso simile al sangue (qui mi ricorda tantissimo Matthew Clairmont di All Souls Trilogy). Questa rientra nel topos dei morti innamorati, ovvero fanciulli che tornano dalla tomba per amore di qualcuno. Altra storia molto diffusa è quella del calzolaio che diventa vampiro, riprende la sua vita quotidiana e lascia incinta la moglie: a questo punto viene ucciso dalla comunità perché compie un abominio. In Romania si diventava vampiri anche se si moriva vergine o senza sposarsi.

La dieta del vampiro folclorico era diversa da quello letterario, che ha ereditato il sangue come cibo dalla strega greca. Si nutriva di frutta (uva, mele, noci), verdure (come le fave crude), vino, pane, farina, poca carne (pollame e animali da cortile) e latte materno, in caso di teloni (spiegazione sotto). L’idea del sangue come nutrimento prende piede tra il Settecento e l’Ottocento. La loro avversione all’aglio è dovuta alle proprietà magiche di esorcismo di questa pianta. Si appendeva fuori dalle porte delle case per scacciare gli spiriti maligni. Nell’antica Roma veniva usato per difendere i bambini dalle streghe. In Romania si sfregava il cadavere con l’aglio o si inseriva nella sua bocca per non farlo diventare vampiro. In Bulgaria il vampiro era addirittura coprofago.

I vampiri erano spesso eretici e streghe

Le epidemie vampiriche sostituiranno la caccia alle streghe nella psicologia collettiva. Burcardo di Worms, nel Collector, ricorda che alcune donne, “per istigazione del diavolo”, trafiggevano con un palo i corpi dei neonati morti senza battesimo per evitare che risorgessero e facessero danni. Lo stesso trattamento era riservato alle donne morte senza aver dato alla luce il figlio durante il parto. Il punteruolo, ficcato nella terra, aveva lo scopo di impedir loro di muoversi più. I teloni (neonati morti) erano considerati vampiri anche in alcune località greche moderne.

In Russia i cadaveri di stregoni, maghi, eretici, peccatori, suicidi, scomunicati non erano seppelliti nella terra perché si credeva che fossero perennemente assetati e ne assorbissero l’umidità provocando la siccità. Prima venivano fatti scivolare in burroni e scarpate e coperti alla meglio, poi venivano seppelliti ai margini dei cimiteri in edifici chiamati ubogie doma. Per questo motivo i loro corpi erano spesso irrorati d’acqua. Furono aboliti sotto il regno di Caterina la Grande. In alcune regioni russe il vampiro si chiamava eretik. C’è anche l’espressione siberiana: “Vagare di notte come un eretico”. Diffusissime sono le storie di vampiri-stregoni che rianimano i corpi dei morti, come quella del Soldato e del vampiro di Aleksandr Nikolaevič Afanasjev.

In alcune isole dalmate il vampiro è associato al lupo mannaro. Tra le popolazione slave era credenza comune che chi era stato in vita licantropo, si trasformasse in vampiro nella morte. In Ucraina si pensava che il vampiro fosse il risultato dell’unione tra una strega e un lupo mannaro. In Montenegro si credeva che i vampiri si trasformassero periodicamente in lupi. Si riteneva pure che ci fosse un’antipatia mortale tra vampiri, cani e lupi. Le due credenze più diffuse erano che il vampiro abbandonasse il corpo per trasformarsi in lupo e che quest’ultimo uccidesse il vampiro uscito dalla tomba. Per questo, nel film di Francis Ford Coppola, Dracula si trasforma in lupo. Questa connessione è giustificata dal fatto che, in passato, i cimiteri, durante la notte, erano pieni di cani e lupi che disseppellivano i cadaveri per mangiarseli.

La pratica della sepoltura secondaria

Pratica di origine slava, era seguita anche in Grecia, tra gli ebrei e in popoli più lontani. È uno dei motivi principali, assieme alle pestilenze, per cui si è diffusa la credenza nei vampiri. Dopo il decesso, i morti erano sepolti in un camposanto e, in un limite di tempo che variava da zona a zona (da quaranta giorni a qualche anno), i resti erano riesumati in un rito specifico. Se era stato ritrovato uno scheletro, le ossa erano lavate nel vino e poste in una cassetta di legno o in un sacco di tela con un’etichetta identificativa. Era collocato in un’apposita cappella o in un ossario, detto koimeterion (dormitorio, da cui deriva la nostra parola cimitero). Ovviamente, questo ciclo continuo di riesumazioni portava spesso a imbattersi in cadaveri incorrotti. In questi casi, la vergogna dei parenti poteva essere così forte che scarnificavano il cadavere con coltelli e soda, pur di dissolverlo e fare bella figura.

La sepoltura secondaria si impiegava perché nell’ortodossia cristiana il lasso di tempo tra la morte e la scheletrizzazione era un periodo di transizione nel quale il cadavere impuro aveva ancora l’anima dentro che poteva tormentare i vivi. Quando il morto diventava scheletro, si liberava della sua impurità e poteva passare al mondo dei morti. Nelle isterie collettive in cui si riesumavano i corpi dei responsabili di qualche male che aveva colpito la comunità, la chiesa ortodossa poteva esorcizzare il brucolaco. I sacerdoti invocavano la Madonna per cercare aiuto, commemoravano i defunti con i colivi (dolci di grano bollito), e venivano letti sul cadavere gli esorcismi. Si benedicevano con l’acqua il corpo del defunto e quello dei fedeli, così il demonio andava via definitivamente. Quando la situazione era insostenibile, si faceva a pezzi il cadavere e si bruciava.

Left for Dead di Thomas Hawk
Left for Dead di Thomas Hawk

Perché ritrovare un corpo intatto non è ritrovare un vampiro

Nella seconda edizione del trattato De servorum Dei beatificatione et Beatorum canonizatione del cardinale Prospero Lambertini uscita nel 1749, in un paragrafo sui vampiri, si asseriva che le loro manifestazioni erano assolutamente inesistenti e frutto di fantasia. L’affermazione divenne più autorevole in quanto il cardinale era diventato papa Benedetto XIV e, in base a ciò, la Chiesa cattolica negò i casi di vampirismo. Nel 1755 Maria Teresa d’Austria proibì le esumazioni vampiriche nei suoi Stati seguendo l’opinione del pontefice. La laicizzazione della chiesa ortodossa nel XX secolo ha posto fine alla sua necessità di garantire il proprio prestigio attraverso l’esasperazione del significato dei cadaveri incorrotti. La sepoltura secondaria è ancora praticata ma oggi i cadaveri integri non vengono più esorcizzati o bruciati, sono risepolti con preghiere e si lascia che la natura faccia il suo corso.

Il vampiro con il corpo intatto, gonfio e più vivo di quando era vivo è stato spiegato bene da numerosi studiosi. L’antropologo americano Paul Barber, nel suo Vampires, Burial and Death: Folklore and Reality (1988), afferma che i processi di decomposizione erano poco conosciuti all’epoca. La floridità del cadavere è data da microrganismi della decomposizione che, moltiplicandosi all’interno dei tessuti, producono gas che, senza via di fuga, si accumulano e ne triplicano le dimensioni. La pressione del gas è responsabile degli spostamenti del cadavere nella tomba. Producono anche calore. Il volto paonazzo è conferito dal distacco della pelle, che lascia vedere gli strati inferiori.

Arriviamo adesso al motivo per cui alcuni vampiri sono visti come luminosi, e vi assicuro che non vedrete più allo stesso modo Edward di Twilight né quel “qualcosa di rifulgente” che il poeta William cercava quando ancora doveva diventare Spike. Il corpo morto, a una temperatura tra i 15 e i 30 gradi centigradi, può ospitare colonie di batteri luminescenti, i photobacterium fischeri. Inoltre si può verificare una nuova liquefazione che porta il sangue a concentrarsi nell’addome, nella bocca e nel naso (in questi ultimi può fuoriuscire) per effetto della forza di gravità. Si ha la sensazione che peli, unghie e denti si allunghino perché per la disidratazione del cadavere queste parti sporgono di più. La presunta crescita di capelli è dovuta o alla dissoluzione del tessuto connettivo o alla crescita di funghi filamentosi biancastri sulle parti esposte.

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