Sono sempre stata una grande appassionata di manga di ogni tipo: shojo, shonen, josei. Tuttavia, non avevo mai letto uno shonen ai, anche detto boys’ love, che va tanto in questi anni: storie d’amore tra ragazzi per un pubblico femminile. Quindi, ho deciso di avventurarmi in questo genere a partire dal capolavoro capostipite Il poema del vento e degli alberi (Kaze to ki no uta) di Keiko Takemiya (J-Pop). E anche io sono diventata per un po’ una fujoshi (ragazza marcia), un termine giapponese poco carino per indicare una ragazza interessata alle relazioni sentimentali e amorose di genere omosessuale.
La storia in breve
Il primissimo del genere era stato un manga della stessa autrice Yuki to hoshi to senshi to…(La neve e le stelle e gli angeli…). Takemiya l’aveva fatto pubblicare con l’inganno per tastare il terreno di ricezione da parte dei suoi fan. Aveva infatti già in mente dal gennaio del 1971 la storia de Il poema del vento e degli alberi, solo che nessuno gliela volle pubblicare fino al 1976 proprio perché aveva una trama omosessuale. In un collegio maschile francese alla periferia di Arles, Gilbert Cocteau, ragazzo biondo e diafano, si prostituisce per passare gli esami. Tutti lo isolano ma lui continua a comportarsi in modo sfrontato mettendo a dura prova i valori cristiani di tanti di loro. Un giorno arriva a scuola un nuovo studente, Serge Battour, di sangue misto, figlio di un visconte francese e di una cocotte (cortigiana) gitana. Quest’ultimo si integra meglio nel tessuto sociale circostante ma subisce discriminazioni dovute al colore della pelle. Entrambi emarginati, chi per eccessiva lussuria, chi per razzismo, si ritroveranno compagni di stanza e si innamoreranno l’uno dell’altro. Lo zio di Gilbert, Auguste Beau, e la società ottocentesca saranno i maggiori ostacoli alla loro unione.
L’interpretazione degli shonen ai non è esattamente alla lettera
Per quanto rappresentino storie tra ragazzi, questo tipo di manga non riflette appieno una vera relazione omosessuale. Le storie sono molto romanzate e progettate per un pubblico femminile eterosessuale. L’idealizzazione dei personaggi è molto forte. E spesso, anche per stessa ammissione della Takemiya, i ragazzi sono riflessi di tutto quello che le ragazze vorrebbero essere e fare e non possono nella società giapponese. Lo shonen ai significa “amore ragazzo” e prima degli anni Settanta indicava la pederastia e la pedofilia. Poi è diventato un genere manga che tratta il lato sentimentale delle relazioni tra uomini, mentre lo yaoi è più sessualmente esplicito (questa è una distinzione tra i termini che c’è soltanto in Occidente). Ne Il Poema del Vento e degli Alberi troverete tanto romanticismo quanto tanto realismo. È un misto tra shonen ai e yaoi. I personaggi non sono idealizzati, anzi, hanno caratteristiche molto nette e senza sconti. La corruzione della morale ottocentesca è piuttosto evidente: uomini che fanno finta di essere eterosessuali per convenzione e nascondono le loro pulsioni condannando chi le vive apertamente come Gilbert. Se avete letto Lady Oscar o altri manga dei Settanta, già sapete che la storia tra Gilbert e Serge non può avere un lieto fine. I due protagonisti innamorati l’uno dell’altro, nonostante appartengano alla stessa classe nobile, hanno avuto un’educazione nettamente diversa che gli presenta il conto quando incominciano a vivere insieme e ad affrontare i problemi della vita. In questo Keiko riesce a rappresentare molto bene il dopo di un amore travolgente che spesso nel mondo reale non può vivere della purezza del solo sentimento. Il manga affronta argomenti problematici come l’abuso da parte degli adulti e il bullismo sessuale dei compagni di scuola. Gilbert, spesso considerato come una bambola oggettificata, subisce molestie e stupri. Crede che il sesso allevi la sua sofferenza per l’amore non corrisposto con lo zio Auguste che l’ha manipolato psicologicamente sin dalla tenera età. Quella di Gilbert è un’esistenza tragica tesa verso la pretesa di un amore totalizzante che non esiste nella realtà.
Rivoluzione del manga per ragazze
L’opera di Takemiya è più complessa di quanto sembri. Gilbert è infatti figlio illegittimo di un padre che abusa di lui e Serge, orfano dei genitori, è mantenuto da una zia che lo disprezza. Nella storia si intrecciano diversi temi oltre a omosessualità, razzismo e sex working: pedofilia, stupro, incesto e abuso di droghe. Fu una rivoluzione nel mondo dei manga per ragazze e lo sarebbe stato ancora di più se la pubblicazione fosse avvenuta prima. Takemiya infatti faceva parte del Gruppo 24, ovvero le mangaka nate nel 24esimo anno dell’era Showa, nel 1949, che stavano andando oltre i confini stereotipati del manga per ragazze. Diedero spessore ai personaggi, realismo e misero in tavola argomenti di attualità che interessavano il pubblico moderno. Erano alla ricerca di autenticità di sentimenti, reazioni e ambientazioni. Si concentrarono anche sulla fisicità dei corpi che in una società pudica come quella giapponese di allora non era affatto scontato.
Il rifiuto dell’omosessualità
Il Giappone non è stato sempre omofobico nei confronti dei rapporti tra uomini ma l’estrema occidentalizzazione ha cambiato e inasprito la morale. Nell’antichità giapponese le relazioni maschili erano considerate normali sia tra guerrieri che tra monaci buddhisti. Nel 1971, anno ci concepimento de Il Poema del Vento e degli Alberi, esce la prima rivista ufficiale gay giapponese: Barazoku. A fine anni Settanta appaiono i primi movimenti di liberazione gay. Il manga di Takemiya fu infatti pubblicato nel 1976 quando il terreno era più pronto ad accogliere il “fascino dei giovani ragazzi adolescenti” (per dirlo con l’autrice in Il suo nome era Gilbert, edito da J-Pop). Giocò a suo favore il cambio di editor della sua rivista, Shukan Shojo Comic, Kazuo Mori. L’uomo gli promise che se fosse arrivata prima nella classifica della rivista con un nuovo manga (La Tomba del Faraone, Pharaoh no haka), gli avrebbe consentito di pubblicare Il Poema del Vento e degli Alberi. Takemiya non riuscì ad essere la prima in assoluto ma si impegnò talmente tanto e la sua ultima fatica ebbe un tale successo che Mori la premiò. Keiko spianò la strada a tutte quelle autrici che avrebbero voluto fare il salto ma fino a quel momento non avevano avuto il coraggio.
Il Salone Oizumi
Keiko Takemiya e Moto Hagio andarono a vivere insieme in una casa a schiera a Tokyo davanti alla loro amica e ispiratrice Norie Masuyama costituendo l’originario Gruppo 24. Si trovava nel quartiere di Nerima vicino alla Stazione Oizumi Gakuen. Il loro appartamento rinominato Salone Oizumi nel giro di soli due anni diventerà una piazza di fermento artistico per le nuove generazioni degli shojo anni Settanta che saranno in grado di cambiare il manga per ragazze fino ad allora stereotipato. Lo scopo era attirare giovani artiste talentuose e ospitare una selezione di lettori appassionati. Il nome Salone Oizumi fu dato da qualche fan e l’appellativo divenne presto di dominio pubblico. La rivoluzione attuata dalle autrici era di ordine fisico, sentimentale e tematico. Le donne non erano tutte uguali, innocenti e graziose. Le mangaka cercavano di essere autentiche e il più possibile realistiche, liberando i personaggi dai classici stereotipi. Diedero spazio anche agli amori considerati illeciti la cui rappresentazione era vietata sulle riviste. Il Salone si sciolse nel 1973 perché Keiko non riusciva più a reggere la pressione della rivalità con Moto. Fatto che alla fine fu costretta a spiegarle. Se volete saperne di più, vi consiglio caldamente il libro Il suo nome era Gilbert – Le ragazze che cambiarono la storia del manga di Keiko Takemiya edito da J-Pop.