Ho da poco finito di vedere la terza stagione di Sex Education e dato che ho letto molte recensioni deluse o negative, vorrei spezzare una lancia in suo favore. Innanzitutto è molto bello vedere una serie diversa da quelle che propina Netflix di solito o altre piattaforme di streaming. Quando si parla di diversità su questi posti è in genere in serie o show di nicchia come Pose o Drag Race, per nominare le più famose. È straordinario vederla su una serie mainstream perché significa che qualcosa può cambiare nelle narrazioni per tutti, lo dimostra l’enorme apprezzamento ricevuto dal pubblico. Quindi è necessario che continuiamo a sostenere e promuovere prodotti del genere.
Buon ritmo, battute divertenti, situazioni superimbarazzanti e riflessioni profonde senza buchi di noia o di sonno. La serie rispetta i parametri ai quale siamo abituati e per cui la amiamo. Come novità di stagione, mi piace il fatto che abbia mostrato la lotta di riconoscimento identitario di persone non binarie, una madre incinta in un’età critica per la gravidanza, le relazioni non lineari come quelle della vita normale, che vanno su e giù come le montagne russe. E ancora, il fatto che una persona giovane a capo di un istituto non significhi progresso, ma anzi tutto il contrario. La distruzione della retorica del “bravo ragazzo” di Otis (Asa Butterfield), la relazione sentimentale-sessuale di Maeve (Emma Mackey) con un disabile, Isaac (George Robinson), e il suo anteporre una scelta per il suo futuro allo stare con un ragazzo (grande lezione di indipendenza e femminismo a mio parere). E infine il non dare per scontati certi ruoli nelle relazioni sessuali, come Adam (Connor Swindells), esternamente strafottente, che vuole essere penetrato da Eric (Ncuti Gatwa), gioioso ed esilarante.
Mi soffermo su tre punti in particolare che mi hanno scatenato delle riflessioni. Hope (Jemima Kirke) si presenta come una preside giovane, rock’n’roll ma ha un compito: riportare nei ranghi una scuola che riceve finanziamenti evidentemente privati. Cerca di farla tornare alla “normalità” attraverso la strada sbagliata che però a molti sembra la più facile o l’unica alternativa. Distinzioni rigide, divise scolastiche e più disciplina, tentando di corrompere i “prefetti” (corrispondenti dei nostri rappresentanti d’istituto). La delusione dei ragazzi nei confronti di una persona giovane che ha un comportamento completamente conservatore mi ha ricordato il mio professore di matematica delle superiori. Voleva fare tutto il programma della materia di un anno in pochi mesi, era rigido (probabilmente per essere rispettato e non considerato un nostro pari) e assolutamente non empatico. Mi ricordo ancora il nostro disappunto nei suoi confronti e la volontà dispettosa-ormonale di imbarazzarlo con gli scherzi. Penso che Hope sia molto credibile come personaggio. Certo, lei rappresenta una parte dello spettro, non vuol dire che tutti gli educatori giovani all’interno della scuola siano come lei.

La gravidanza della madre di Otis, Jean (Gillian Anderson), in un’età a rischio è un argomento di cui non si parla in nessun telefilm che mi è capitato di vedere. La serie ci fa rendere conto che c’è uno stigma enorme attorno e sembra sempre che la madre abbia concepito il figlio per partenogenesi. Le persone trasferiscono più vergogna e imbarazzo su di lei che sul compagno con cui è stato concepito in un becero atteggiamento patriarcale. È una scelta coraggiosa e ottimista avere un figlio a quell’età senza essere in una relazione sentimentale significativa. Le donne che hanno una gravidanza dai 45 anni in su dovrebbero ricevere più amore dagli altri e supporto dalle strutture medico-sanitarie.
La scena topica di Sex Education 3 è quando gli insegnanti fanno vedere alla classe, rispettivamente separata in maschi e femmine, due documentari educativi su sesso, contraccezione e riproduzione datati e pieni di stereotipi. Addirittura una donna rimasta incinta troppo giovane terrorizza le ragazze sulle conseguenze della gravidanza. Nella realtà, almeno quella italiana, non so se anche quella inglese, succedono scene simili se non peggio. Le volte in cui ho fatto lezione di educazione sessuale a scuola si contano sulla punta delle dita: sempre in modo frettoloso e con estrema non professionalità da parte di insegnanti sorteggiati a caso o a seconda della materia di insegnamento. Mi ricordo in particolare un’esperienza con la professoressa di italiano cattolica e bigotta alle medie che ci invitò a leggere per conto nostro l’opuscolo sulla contraccezione e liquidò il tutto dicendo: “Se volete un parere, l’unico metodo contraccettivo è l’astinenza“. Qualche anno dopo sua figlia rimase incinta a ventuno anni e le famiglie costrinsero i due malcapitati non solo ad avere un figlio insieme, ma anche a sposarsi in una sorta di matrimonio riparatore. Mi sono sempre chiesta se quella donna avesse insegnato alla figlia con convinzione dei metodi contraccettivi o se ci fosse stata una scuola che l’avrebbe fatto, la sua storia sarebbe andata a “finire” così.