foto copertina: Giulia Zollino con il suo libro Sex Work is Work edito da Eris Edizioni
L’antropologa, operatrice di strada Giulia Zollino ha scritto il saggio Sex work is Work edito da Eris Edizioni, culmine del suo lavoro di divulgazione del sex work su Instagram. Lo scopo è normalizzare il lavoro sessuale e lottare contro lo stigma che cade sulle persone che conducono questo tipo di mestiere.
Il termine “sex work”, lavoro sessuale, che l’immaginario comune pensa sia recentissimo, è stato invece coniato dall’attivista e femminista Carole Leigh nel 1978 alla prima conferenza sull’argomento a San Francisco, è diventato poi di uso comune nel 1987 con il testo Sex Work: Writings by Women in the Industry di Frédérique Delacoste e Priscilla Alexander.
Il libro di Giulia va dritto al punto e affronta il succo di temi cardine della questione: le soggettività coinvolte nel lavoro sessuale e i pregiudizi da cui sono afflitte, le norme e i modelli di regolamentazione adottati da vari Stati nel mondo, sfruttamento e tratta, rappresentazione mainstream errata del sex work, tappe fondamentali dei movimenti per i diritti dell* sex worker. Giulia riesce a smantellare la narrazione vittimistica e pietistica che per troppo tempo ha governato il lavoro sessuale. Parla di persone, pluralità, che devono non solo essere rispettate ma anche considerate da uno Stato che di fatto non le tutela.
Senza scomodare la religione, il Governo italiano dovrebbe comportarsi in modo laico riconoscendo diritti umani essenziali all* sex worker: decriminalizzazione del sex work e concessione di diritti, doveri e tutela dei lavoratori con accesso ai servizi sociosanitari, permesso di associazione o organizzazione, libertà di movimento, diritto di asilo, permesso di soggiorno, offerta di alternative lavorative, leggi anti-discriminazione e anti-violenza per questa categoria.
Qual è stato il percorso che ti ha portato a scrivere il libro?
Direi che parte tutto dalla mia attività su Instagram, da quando nel 2019 ho deciso di fare divulgazione sul sex work con l’obiettivo di destigmatizzare questo settore lavorativo. Eris Edizioni mi ha contattato nel 2020 proponendomi di scrivere un testo sul sex work e abbiamo iniziato a lavorarci a partire da giugno dello stesso anno.
Nell’introduzione della tua opera spieghi che la prima volta che hai praticato sex work è stata a vent’anni per riappropriarti della tua sessualità. Perché hai deciso di farlo attraverso il lavoro sessuale?
Perché per me era imprescindibile partire da me stessa e dal mio corpo. Attraversare la mia sofferenza mettendo in gioco il mio corpo e la mia sessualità. Potevano esserci altre strade certo, ma all’epoca ho scelto questa e lo rifarei.
Questa esperienza come ha influenzato il tuo ruolo da operatrice di strada?
La mia esperienza personale con il sex work mi ha permesso e mi permette tutt’ora di avvicinarmi alle sex worker ed empatizzare con i loro vissuti. Seppur con esperienze e storie diverse, tutt* ci portiamo dietro un carico di stigma non indifferente.
In un capitolo parli di quanto sia pericolosa la storia unica. Puoi spiegare questo importante concetto per la maggior parte di noi che non lo conosce?
Nel libro mi riferisco al discorso tenuto da Chimamanda Ngozi Adichie dal titolo “Il pericolo della storia unica”. La storia unica consiste nel rappresentare un gruppo sociale in un solo modo più e più volte fino a farlo diventare quell’unica cosa. Ecco, per quanto riguarda il sex work la narrazione dominante è quella della violenza, delle vittime, della tratta, del degrado. Questa narrazione, quando è presentata come l’unica, è un problema. Il sex work è un settore che racchiude tanti mondi diversi e tante storie. Non appiattiamole.
In diversi paragrafi descrivi la situazione del sex work in Italia. Quali sono gli elementi fondamentali di cui dovrebbe essere munito per cambiare?
Prima di tutto serve collaborazione con le associazioni di sex worker: chi meglio delle persone che svolgono quel lavoro può fare delle proposte sensate e ragionate. La decriminalizzazione totale del lavoro sessuale sembra la strada migliore per avvicinarci all’obiettivo di vedere riconosciuti i nostri diritti. Oltre alla legge serve un cambiamento culturale. Dobbiamo parlare di sesso e di sex work anche a scuola.
La Nuova Zelanda, il Nuovo Galles del Sud e il Northern Territory hanno depenalizzato il sex work rendendolo una professione legale e riconosciuta dallo Stato a tutti gli effetti. Secondo te, perché in questi Paesi è stato possibile e in Europa è una scelta politica ed economica ancora lontana?
Sicuramente a causa della cultura fortemente cattolica e patriarcale. Un altro aspetto importante è il fatto che l’Italia sia un Paese di destinazione di tante lavoratrici e lavoratori migranti, cosa che rende ancora più complessa l’accettazione e regolamentazione del sex work.
L* sex worker italian* come stanno adesso in questa pandemia e di cosa hanno o avrebbero bisogno?
La situazione è molto grave. Tante lavoratrici non stanno lavorando o stanno lavorando molto poco, in condizioni ancora più precarie e meno sicure. Tra quelle più colpite ci sono le lavoratrici migranti e le donne trans. Di cosa avrebbero bisogno? Di una legge che riconoscesse il lavoro sessuale come un lavoro.
Anche se è uscito da poco, che tipo di riscontro stai già ricevendo da chi ha letto il libro? Ci sono dell* sex worker tra di loro?
Per ora stiamo ricevendo dei riscontri molto positivi. Le persone avevano bisogno di questo libro e soprattutto di un’altra narrazione del sex work. Sì, tra alcune persone che mi hanno dato del feedback ci sono delle sex worker. Una di loro mi ha scritto che è stata felice di non vedersi rappresenta come vittima, ma come una persona.