Sex toys, questi sconosciuti – Parte 3

Il merito sopra tutti che deve essere riconosciuto ai sex toys è di aver regalato i primi veri orgasmi alle donne di trenta e quarant’anni che non erano in grado di raggiungerlo da sole o col partner. Tuttavia negli anni Settanta solo una frangia femminista, quella meno radicale, riconosceva questa qualità ai suddetti dispositivi e la promuoveva per la masturbazione. La maggior parte sentenziava che erano prodotti del capitalismo e che per questo dovevano essere combattuti. I conservatori li consideravano solo degli aiuti per migliorare la vita di coppia. Ed in generale in quel periodo non erano visti di buon occhio perché non “naturali”.

Ron Braverman, e suo figlio, Chad Braverman, proprietari attuali di Doc Johnson, foto: Robyn Beck di AFP, Getty Images

Negli adult store l’affluenza, almeno negli States, era quasi esclusivamente maschile. Quindi Reuben Sturman, il più grande distributore americano di materiale porno, insieme al figlio David e Ron Braverman creò nel 1976 una linea mainstream di sex toys sia per donne che per uomini chiamata Doc Johnson (ancora esistente). Si inventarono un pupazzetto dottore dai baffoni rassicuranti per infondere un senso di fiducia ed autorevolezza come le grandi catene di fast-food. Venivano però venduti in modo tradizionale come “dispositivi medici” ed “aiuti coniugali” e si rivolgevano soprattutto ad eterosessuali monogami. Furono comunque la prima azienda a creare un brand attorno ai sex toys. Più tardi anche Gosnell Duncan formò una ditta per i suoi dildo per disabili, la Scorpio Products. Tuttavia, la prima ad ammettere concretamente entrambi i sessi dentro il suo store di San Francisco fu nel 1977 Joani Blank con il suo Good Vibrations.

Dell Williams, proprietaria di Eve’s Garden, fece un sondaggio tra i suoi sostenitori per capire quale aspetto per loro dovesse avere un dildo e se dovesse per forza somigliare ad un pene. I suoi clienti dissero che non gli importava della taglia ma della sostanza. Duncan, che faceva dildo su misura per Williams, creò sotto sua ordinazione il Venus di color rosa pallido e marrone cioccolato che assomigliava più a un dito storto che ad un organo sessuale maschile. Il messaggio che doveva passare era che i dildo non fossero imitazioni di peni ma solo oggetti per stimolazione e penetrazione.

Moderni sex toys colorati che assomigliano poco a peni specifici.

Grazie alla nuova produzione di attrezzatura di pelle di Pleasure Chest, il sex shop iniziò a diventare famoso tra i punk che sfruttavano molto l’immaginario sadomasochista nel loro modo di vestirsi. Tanto che Joan Jett comprò la famosa cintura di Sid Vicious ornata da anelli di metallo sadomaso proprio in uno dei suoi negozi e si fece una foto davanti a quello di Los Angeles. Anche Freddie Mercury incluse il nome dell’adult store nella sua famosa canzone del 1978 “Let me entertain you”.

Joan Jett davanti The Pleasure Chest di Los Angeles.

Gli home parties per vendere sex toys iniziarono nello stesso periodo di diffusione degli adult stores ma c’erano già dagli anni Quaranta negli Stati Uniti, quando l’amministrazione dell’elettrificazione rurale li promuoveva per elettrificare le case degli americani. Lo scopo di quelli moderni era di incentivare un atteggiamento più sex positive nelle persone. Erano sia per donne che per uomini ma in modo separato. La più famosa organizzatrice di questo tipo di party in Europa è Ann Summers, catena di intimo e sex toys inglese, che li ha lanciati nel 1981, e adesso è arrivata alla cifra annuale di 4.000 organizzati in tutta Inghilterra. Ora nei paesi anglosassoni lo scopo è solo commerciale ma in quelli latini prevale oltre a questo una sorta di approccio educativo, in particolar modo promosso dalla spagnola La Maleta Roja, in Italia La Valigia Rossa, nelle riunioni a domicilio.

Foto in copertina: Pulsatore Stronic Drei di Fun Factory.

Il contenuto de La Valigia Rossa

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