“C’era una volta un bellissimo fiore rigoglioso attorno a cui ronzavano diverse api. Queste non si azzardavano ad avvicinarsi perché sapevano che il suo polline era troppo pregiato per loro. Un giorno un serpente vide una farfalla depositarsi sul polline per succhiarlo e si avventò contro di lei. Invece di addentarla, morse il polline del fiore avvelenandolo. Il fiore non fu più lo stesso. Rinacque a nuova vita e le api iniziarono ad abbeverarsi al suo nettare”.
Quando ho lanciato il sondaggio tra i miei follower sul motivo per cui mi chiamassi Fiore Avvelenato, le risposte sono state bizzarre. “Perché la fregna (fica in marchigiano) ce mazza (ammazza) a tutti!” forse è stata una delle intuizioni più esilaranti che mi è arrivata. Alcuni si sono concentrati sulla parola “fiore”: “un fiore carino a cui hanno fatto girare le ovaie”, “un fiore morso da un serpente”, “il fiore del frutto della vita di Adamo ed Eva”. Altri si sono soffermati sul significato di “avvelenato”: “volto alla provocazione per causare riflessione”, “una cosa bella che può essere al tempo stesso pericolosa ed ingannevole”, “avvelenato implica un intervento esterno, non velenoso di per sé, ma reso tale” (ci è andato vicino). L’idea della storiella iniziale me l’ha data un follower inventandosi una favola shakesperiana. “Fiore Avvelenato perché attira le sue prede, le api. È un fiore strano, non da polline, ma da veleno di serpente. Un giorno un serpente velenoso si era innamorato di quella specie di Fiore particolare, si avvicinò e fu scacciato dalle api che ritenevano i fiori loro territorio. L’animale, arrabbiato, avvelenò con i suoi denti tutti quei tipi di fiori e da lì in poi le api che si posano su quelli, muoiono. Così non essendo impollinati, si estinsero ed il serpente rimase senza il suo fiore. Pentito di ciò che aveva fatto, si tolse la vita avvelenandosi esso stesso, e si adagiò sui petali secchi dei ‘fiori avvelenati’ sparsi a terra. Una ragazza passò e vide il serpente morto sui fiori. Prese un petalo ancora fresco, e riuscì a farlo ridiventare fiore tramite un miscuglio di veleno del serpente morto, ali di api e ‘venuto’ della sua vagina. Il Fiore ricominciò a riprodursi e la ragazza gli diede il nome di Fiore Avvelenato”.

Fiore. Nell’emisfero occidentale il fiore è una delle rappresentazioni principe della vagina, alla quale viene spesso associata una rosa. Ho sempre pensato che la mia assieme a tutte le altre fosse qualcosa di magnifico e bello, una gioia visiva e nettare per le api che vi si posano. Le dinastie cinesi Han e Ming la paragonavano ad un fiore di loto dorato, entrata per il paradiso. La chiamavano anche “rosa nera” perché il pelo pubico abbondante era indice di passionalità e sensualità e se formava un triangolo equilatero era segno di grande bellezza. Chi era priva di peli, era chiamata “tigre bianca”. Altri nomi floreali che usavano in Cina per designare la vagina erano: loto della saggezza, cuore di peonia, peonia appena sbocciata, guanciale di muschio, giglio puro, anemone dell’amore. Le piccole labbra erano chiamate germogli di grano e il mini cappuccio di pelle che copre la clitoride giardino notturno. Nell’antica Grecia la clitoride e le piccole labbra erano indicate come bacca o frutto di mirto, pianta sacra ad Afrodite, il quale aroma veniva associato ai genitali femminili (myrtos significa profumo). Era quindi anche un potente afrodisiaco. Nel testo classico indiano Ananga Ranga le donne, divise in quattro classi, sono celebrate per gusto e forma delle loro vagine. La padmini, donna loto, ha secrezioni sessuali profumate come gigli sbocciati. Oltre al fiore, nella tradizione artistica classica, medievale e rinascimentale europea la mandorla era sinonimo di genitali femminili. In epoca romana questo seme era un talismano per la fertilità, dato che era nato dalla vagina di Cibele, dea della natura, e manciate di mandorle erano lanciate agli sposi. La vesica piscis, di forma simile, per i primi cristiani era la vagina della Vergine Maria. Insomma, tutte sembianze migliori del nome latino “vagina” che sta per “fodero” o “guaina”.

Avvelenato. Avvelenato da veleno di serpente. È un animale che mi ha sempre attratto con i suoi movimenti sinuosi e lo sguardo vitreo. Mi sono anche spesso identificata con Medusa nel corso della mia vita. In seguito ne ho compreso il motivo. La donna, considerata nel mondo occidentale nemica del serpente, in realtà non lo schiaccia sotto i suoi piedi ma incarna il serpente stesso. Le società patriarcali hanno fatto di tutto per distruggere questo animale da Eva in poi proprio perché rappresenta la sensualità e la sessualità della donna. Il Dio biblico disse al serpente “Io porrò inimicizia tra te e la donna”, ed ha mantenuto la promessa fino ai nostri giorni. Il seme della misoginia non è solo colpa della cristianità, ma mise radici nel mondo antico già tra l’XI e il XIII secolo. La dea Serpente delle società primitive e pre-classiche è una testimonianza di come nell’Europa Paleolitica le donne fossero considerate partenogenetiche (come alcune vipere). “Madre di tutti gli Dei che aveva generato prima che il parto esistesse”, recitava l’iscrizione sotto la dea Neith, la prima creatrice, nel tempio egizio di Sais. In diverse comunità del mondo le mestruazioni sono state concettualizzate attraverso riti con la serpe. A partire dall’età classica, il rifiuto delle mestruazioni come sostanza tossica e velenosa ha causato l’allontanamento delle donne dalla vita religiosa, politica e militare. Probabilmente i nostri antenati primitivi ne sapevano più di noi: se si osserva bene, la bocca spalancata di un serpente assomiglia ad una vagina. Il serpente che perde la pelle e si rigenera era l’incarnazione dei misteri di morte e rinascita. La donna deve riappropriarsi della propria sessualità, quindi, parlandone a non finire così che la paura verso il suo enigmatico serpente venga abbattuta e la sua condizione sia alla pari di quella dell’uomo.

Il motivo del blog. I motivi sono tanti. Mi sono sempre trovata a mio agio a parlare di sesso senza tabù e a dare il nome vero alle cose. Questo atteggiamento mi ha stigmatizzata con gli amici e con gli uomini. Perciò spesso mi trovo meglio con gli spiriti liberi, la gente aperta mentalmente, dal lato eccentrico o artistico, come me. Desideravo esplorare me stessa, io che fino all’età di ventisette anni non avevo scoperto molti miei lati nascosti, pur sapendo di avere del potenziale. Non volevo compiere l’esplorazione in solitario ma condividerla con amiche e amici “consenzienti”, provando a smantellare le nostre inibizioni e soddisfacendo le nostre curiosità. A distanza di quasi cinque anni, non so se ci sono riuscita, però sicuramente sono cresciuta molto spiritualmente e nella confidenza a letto. Infine, in alcuni dei primi post, volevo soddisfare le mie fantasie su un uomo che non potevo vedere spesso. Per fortuna, il blog è sopravvissuto a questa storia ed è cambiato negli anni, nei mesi e nei giorni con la solita curiosità che lo contraddistingue. Come un serpente che cambia pelle.
