Una menopausa da Papessa, ascesa e caduta di Olimpia Maidalchini Pamphili

Era furiosa. Iniziò ad urlare come un’ossessa molto prima che la sua portantina toccasse il suolo della sala delle udienze del Quirinale. Il cardinale Panciroli e papa Innocenzo X fissavano sbigottiti Olimpia Maidalchini Pamphili, la cognata del pontefice, sbraitare in mezzo a tutti abbandonato il senso di ogni decoro. Ad un certo punto Innocenzo si alzò dal suo scranno e tuonò: – Zitta! Stai zitta! Se non taci, ti butto in un convento, chiudo a chiave le porte dietro di te e non verrai più vista. – A quelle parole la donna gelò serrando automaticamente la bocca. Lui era l’unico uomo sulla faccia della terra ad avere il potere reale di segregarla in quel posto buio fuori dal mondo. Ma non avrebbe mai pensato che andasse proprio a minare il suo punto debole. La odiava così tanto? Proprio lei che l’aveva messo sul trono papale e aveva contribuito alla sua prosperità, ora veniva minacciata come una bambina isterica qualunque senza dote. Una fredda rabbia la invase mentre si riposizionava sulla sua portantina, il viso solo all’apparenza calmo. Si sarebbe vendicata.

Olimpia Maidalchini Pamphili era una donna che non si faceva mettere i piedi in testa. Aveva iniziato col padre, Sforza Maidalchini, che voleva per forza inviarla in convento per non rovinarsi con la sua dote. Il Concilio di Trento aveva stabilito che i parenti non potevano costringere in alcun modo le figlie a farsi suore e chi era colpevole veniva scomunicato. Quindi la ragazza aveva scritto al vescovo di Viterbo, sua città natale, riferendogli la situazione ed aggiungendo che il prete teatino che doveva convincerla a cambiare vita aveva tentato di molestarla sessualmente. Una tipa astuta. La sua lamentela fu accolta dal tribunale dell’Inquisizione del Sant’Uffizio, il prete imprigionato a pane ed acqua, e al genitore fu proibito di forzarla. Rimasta vedova del primo ricco marito, Paolo Nini, si sposò una seconda volta a vent’anni con un uomo di cinquanta, Pamphilio Pamphili. Conobbe suo fratello, Giovanni Battista, trentotto anni, e fu intesa a prima vista. I due diventarono inseparabili, scarrozzavano insieme ovunque, e il marito chiudeva un occhio perché lei era quella col patrimonio cospicuo e avrebbe pagato per la candidatura a cardinale di Gianbattista.

Olimpia era decisa, amante della matematica, della scienza, degli affari e del gioco d’azzardo. Gianbattista era istruito e gentile ma indeciso fino al midollo, era a proprio agio con le donne perché non era in competizione con loro e forse vedeva in Olimpia una madre surrogato, visto che aveva perso la sua a sei anni. L’uomo chiedeva di continuo consiglio a sua cognata per qualsiasi decisione, tanto che quando fu inviato in missione in Spagna le scrisse: “Lontano da te sono come una nave senza timone, abbandonato all’incostanza del mare senza speranza per la propria felicità”. Sembra quasi una dedica romantica. Non è mai stato chiaro se, come riportavano numerose dicerie a Roma, i due dormissero insieme sul serio. Quando Gianbattista diventò papa, ad Olimpia fu vietato di prendere gli appartamenti adiacenti ai suoi nel Quirinale. Tutti sapevano del loro stretto rapporto, tanto che all’elezione di Innocenzo il cardinale Alessandro Bichi disse: “Abbiamo appena eletto un papa femmina”. Olimpia, non scoraggiata dal divieto, passava ogni notte per il giardino del palazzo papale, e ci restava da mezzanotte all’alba. Era noto che il pontefice fosse un lavoratore notturno, ma possibile che in sei ore parlassero solo di affari?

Alcuni dicono che Gianbattista abbia scelto il nome Innocenzo per dichiarare la sua estraneità alla relazione sessuale con Olimpia. Scrisse però un testamento in cui lasciava tutti i suoi beni alla donna, nominandola sua ereditiera, cosa piuttosto inusuale. Lo scandalo era anche generato dal fatto che nessuno dei due nascondesse il loro legame. La cognata si dirigeva in Vaticano in carrozza e portantina. Le dicerie sul loro conto erano talmente diffuse che alla corte del lord protettore di Inghilterra, Oliver Cromwell, era stata presentata la commedia “The Marriage of the Pope” che narrava la storia dei tentativi del papa di sposare la cognata. C’erano state già in passato cortigiane papali come Giulia Farnese, amante del cardinale Rodrigo Borgia, poi Alessandro VI, e la contessa di Turenne Cecilia, amante di Clemente VI tra il 1342 e il 1352, anche lei la mente dietro al suo amante, ma le loro figure erano state più nascoste. Queste vicende erano state rese possibili perché ciò che preoccupava la chiesa di allora non era il sesso ma l’istituzione del matrimonio che avrebbe potuto avanzare diritti di eredità sulla proprietà ecclesiastica. Fino all’undicesimo secolo, almeno quaranta papi erano stati figli di preti e alcuni figli di papi, e fino al 1917 i cardinali non dovevano essere preti ordinati.

La popolarità di Olimpia, che amministrava le finanze del papato, ordinava cardinali e curava le relazioni con le potenze straniere, crebbe talmente tanto durante il Giubileo del 1650 che Innocenzo iniziò ad essere irritato e a discostarsi da lei avvalendosi di altri consiglieri, come il cardinale Panciroli. Erano accaduti troppi episodi di scorno verso la sua autorità. Il picco massimo era stato toccato quando la scritta “Innocenzo X, Pontifex Maximus” nella chiesa di San Giovanni in Laterano, era stata parzialmente sostituita da “Olimpia I, Pontifex Maximus”. Olimpia diede in escandescenze e non trattò il cambiamento in maniera diplomatica, forse per gelosia più che per menopausa. Nel passato si entrava in quest’ultima anche prima dei cinquant’anni. L’ultima scenata fu quella che interruppe momentaneamente il suo rapporto col papa con la minaccia di rinchiuderla in convento. Pochi mesi dopo, esiliata a San Martino, ricevette il perdono papale perché la situazione politica ed economica senza di lei stava andando rapidamente a rotoli.

Nonostante la grazia ricevuta, alla morte del papa ebbe la sua vendetta non pagandogli il funerale e rubando al pontefice tutto l’oro presente nella sua camera da letto. Il Seicento era un secolo dove regnava la cleptocrazia, tutti rubavano quello che c’era da rubare, i nobili venivano risparmiati dalla giustizia, i poveri no. Essere una vedova senza protezione significava essere in balia di ogni vento contrario da parte della società e soprattutto non essere in autorità di possedere niente. Per questo Olimpia aveva accumulato denaro fino allo sfinimento, non solo per avidità. Con il papa Alessandro VII dovette anche rispondere di appropriazione indebita in un processo, restituendo parte delle sue somme. Morì anche lei qualche anno dopo di peste bubbonica con tre diamanti celati dentro la sua bocca, che bruciarono insieme a lei.

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