La carne è debole: inquisizione e processo di suor Giulia di Marco – 2a Parte

Don Alfonso Suarez, luogotenente della Camera regia, ospitò la suora all’interno del suo palazzo. Era visitata spesso con un via vai di persone, spesso facoltose, tra cui la viceregina contessa di Lèmos, Caterina Gomez de Sandoval y Rojas, che entrò nella sua congrega sessuale. La stessa fonte loda l’azione benefica di Giulia sulle persone: “ridusse molti dalle cattive alla buona strada, e li faceva lasciare molti pubblici vitii e peccati”. La suora bramava fondare un nuovo ordine di cui aveva già istituito la regola. Lei e Giuseppe aprirono il loro santuario in una villa a Vico Fonseca. Giulia era la Madre dei Figli e pretendeva che per diventare sacerdoti e sacerdotesse seguissero un percorso specifico. Li divise in congregazioni con numero pari di uomini e donne senza che parenti vicini e lontani potessero incontrarsi mai. Ognuno a rotazione visitava Giulia a partire dalla domenica. L’iniziazione si compiva attraverso il passaggio in due stanze: i novizi discorrevano con Giulia di argomenti spirituali in una e, quando li riteneva affidabili, li consegnava alle congregazioni in un’altra. Gli adepti di natali illustri provenivano da ogni dove per entrare nella sua selezionatissima congrega.

Come succede a volte alle madri, Giulia crebbe delle serpi in seno. Quattro discepoli, stanchi degli eccessi, come i cavalieri dell’Apocalisse, si ribellarono contro i suoi insegnamenti. Don Roberto, Francesco, Vincenzo e Giuseppe scapparono dai padri teatini e si affidarono a padre Benedetto Mandina. Avvertendo il pericolo, nel 1614 Giulia e De Vicariis cercarono protezione dai gesuiti, acerrimi nemici dei teatini, nella chiesa del Gesù Nuovo.

Per quanto sembrasse all’avanguardia o trasgressivo il suo pensiero, Giulia era pur sempre una suora. E durante la sua permanenza a Napoli si era circondata di donne pie con cui aveva fatto opere di carità e che la adoravano, seguendola dappertutto. Queste vivevano con lei ovunque andasse e una di loro l’avrebbe tradita. Giulia non aveva raccontato l’altra faccia della medaglia del suo “culto” alle sue bizzoche e suor Francesca Jencara era convinta di avere delle visioni notturne con corpi nudi eccitati che si agitavano e si intrecciavano tra loro. Giulia l’aveva affidata ad esorcisti per scacciare i suoi demoni e la semplice ragazza si era spesso rassicurata così. Ma i guai iniziarono ad arrivare quando al capezzale di un moribondo Francesca conobbe padre Mandina, che prese come suo confessore. La relazione spirituale tra i due crebbe veramente tanto che la suora gli svelò le sue visioni diaboliche ed il padre scoprì che corrispondevano alle confessioni dei quattro pentiti. Francesca diventò una spia. La goccia che fece traboccare il vaso fu la notizia che stessero scrivendo già una biografia della presunta santa vivente in castigliano. A quel punto gli ex Figli confessarono.

I racconti scardinavano la morale sessuale vigente: orge tra uomini e donne in cui tutto era lecito. Giulia fu denunciata alla Sacra Congregazione del Sant’Uffizio. Giuseppe scongiurò più volte i padri teatini di perdonarli ma senza esito. I teatini scrissero per esteso l’eresia erotica della suora che approdò sul tavolo dell’Inquisizione romana. I religiosi seguirono qualsiasi pista e torchiarono chiunque gli capitasse sotto tiro per avere più elementi possibili contro Giulia. La lettera di risposta del sommo inquisitore, il cardinale Aldobrandini, offriva agli eretici pentiti quattro condizioni per salvarsi con assoluzione: presentarsi spontaneamente al vescovo di Calvi, mons. Maranta, che trattava la loro questione; farlo immediatamente; confessarsi; rivelare tutti i fatti. Il vescovo di Calvi diede ordine al viceré di proibire a sua moglie di vedere la suora incriminata. Il conte di Lèmos temeva un’insurrezione davanti all’inversione di corrente, dato che nella vicenda erano coinvolti fino al collo governanti, militari e religiosi, quindi accusò Maranta di averlo ingannato. Per tutta risposta il vescovo gli consegnò il carteggio del processo per provargli la verità dei fatti e il viceré lo fece sparire. Ma a questo punto della storia intervenne il principe Camillo Borghese, Papa Paolo V.

Rimosse Maranta dal ruolo di commissario e lo convocò a Roma per riferire il proprio lavoro, delegò la causa di nuovo a Diodato Gentile ed infine scrisse una breve lettera al conte di Lèmos per farlo desistere dal proteggere suor Giulia. Il governo di Spagna se ne lavò le mani. Le guardie spagnole furono ritirate dalla casa dove era nascosta la donna, il palazzo di Bernardino Montalvo del Collaterale. Padre Aniello fu incarcerato a Roma e Giuseppe arrivò nella capitale su una feluca del Sant’Uffizio ferrato a collo, mani e piedi. Monsignor Gentile inviò delle guardie per catturare Giulia, lasciata sguarnita di protezione anche da Montalvo, e pronunciò la sua scomunica. La donna fu imbarcata con i ferri alle mani su una feluca per Roma. Sette giovani si recarono nella città nel disperato tentativo di difendere la loro Madre ma i maschi furono messi in prigione e le femmine in conservatorio. Le loro famiglie non seppero che fine avessero fatto fino al giorno del processo finale in cui comparvero per confessare i loro peccati.

I tre condannati si presentarono nella chiesa della Minerva a Roma nel 1615 per confessare ed abiurare la loro dottrina. È bene farvi notare che le confessioni venivano raccolte con la tortura e non sono da prendere alla lettera. I motivi frequenti che ricorrevano spesso sono: il patto col diavolo, le orge, l’omosessualità, l’incesto, l’adorazione dei genitali, congreghe segrete. Aciero premise di essere stato ingannato dal diavolo nel compiere atti peccaminosi, aveva fatto sesso con suor Giulia gridando “Gesù mio!” nella convinzione di vedere Dio e con un sacerdote del suo ordine, e di aver persuaso di Marco a creare una dottrina basata su di lei. Giuseppe ammise, oltre ad aver partecipato alle orge, di essersi inventato la virtù della Carità Carnale baciando “le parti segrete” della suora e procurando proseliti. Giulia di Marco confessò di aver copulato con molti suoi devoti, essere rimasta incinta “cinque o sei volte” e di aver avuto sempre al suo fianco l’Angelo Ribelle. Si suppone che Giulia sia stata rinchiusa nelle prigioni di Castel Sant’Angelo e lì abbia finito i suoi giorni.

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