Pin your selfie UP

Quando Bunny Yeager si autoscattò una foto in body non avrebbe mai pensato che cinquantatré anni dopo il selfie sarebbe diventato il nuovo modo di affermarsi nel mondo e tutti sarebbero diventati delle pin up. Essere una pin up era appannaggio esclusivo di attrici, cantanti e modelle degli anni Quaranta che necessitavano di promuovere la propria immagine. Oggigiorno sono tuttavia poche le persone in grado di ostentare la naturalezza spontanea davanti all’obiettivo di una Bettie Page. Prevale una sorta di autocompiacimento quasi ridicolo. Le stesse imitatrici delle pin up di un tempo come Bernie Dexter risultano noiose in pose artefatte da cartolina ammiccante. Non si gioca con la macchina fotografica o la fotocamera del cellulare. Si risulta prevedibili stringendo la bocca a cuore e strabuzzando gli occhi in una finzione di sensualità caricaturale.
Non si comprende che non si posa per lo sguardo degli altri ma per il proprio. Questo è direttamente collegato alla consapevolezza delle forme del nostro corpo, quindi alla nostra autostima. Se ci apprezziamo, lo esprimiamo in foto e ci autoeccitiamo. Lo sapeva Hannah Cullwick, modella sui generis del gentiluomo Arthur Munby a metà Ottocento. La passione di quest’ultimo per il suo fisico robusto di domestica abituata agli sforzi fisici appagava l’esibizionismo sottomesso di lei che era espresso in foto. La fotografia serviva per eccitare i due e aumentare la tensione nei loro giochi feticisti. L’imperfezione era la regola, come la cenere del camino non omogenea sparsa sul corpo di Hannah, i capelli scomposti o un seno semiscoperto. Il diavolo sta nel dettaglio “casuale”.

Oggi piace essere guardati. Siamo stati educati così. Non c’è nulla di male nel farsi una foto. Dai che stai benissimo. L’apprezzamento degli altri gonfia la nostra autostima. Studiamo il profilo e le pose migliori, anche quando vogliamo risultare defilati. Conferiamo importanza al mezzo fotografico pure quando non vogliamo farci vedere. Una volta la paura di risultare sgradevoli era limitata a rivedere immagini stampate di se stessi tra amici. Nell’epoca odierna il male più grande è essere taggati su Facebook in un’espressione poco lusinghiera. È per questo che la maggior parte di noi vuole risultare al meglio o toglie il tag per non essere visto. Inutile che alziate un sopracciglio scettico. Ci siamo cascati tutti, a seconda del grado di esibizionismo. Se avete paura ancora di essere fotografati, potreste essere più esibizionisti di chi si espone con disinvoltura. Siamo passati dai bagni di My Space, dove era in embrione il concetto di selfie, al salotto di Facebook, e poi al mare magnum di Instagram. Ora sono tutti dei professionisti di sé. Ci sentiamo dei gran figh*. A seconda dei like e dei commenti. Giudichiamo una buona foto a seconda del riscontro che ha ricevuto in bacheca. Questa spesso diventa la nostra prossima foto profilo.

Se ci sporgiamo oltre la tenda rossa dell’apparenza, intravediamo il buio del risvolto oscuro della medaglia. Succede a me dai tempi di My Space, in cui facevo la pin up da strapazzo (è sempre bello fare coming out), e credo sia successo almeno una volta a voi, soprattutto alle donne che stanno leggendo: vi è stato chiesto se avevate delle foto particolari, in intimo o nude. A prescindere dal fatto che le abbiate o meno, un brivido di quello che avete identificato come terrore vi ha scosse. In realtà si trattava di eccitazione. Il pensiero di essere apprezzate nell’occhio altrui vi ha emozionato. Poi siete state bloccate da vari fattori, tra cui, oltre al pudore, l’amico o la persona sconosciuta che può farle vedere al mondo. Basta uno schiocco di dita per rendere qualsiasi cosa che sta su un pc pubblica.

Nonostante la nostra vittoriana reticenza, siamo tutti dei guardoni. Con la diffusione del selfie ad ogni ora del giorno e della notte, con i più disparati outfit e non, e con la distruzione della sfera privata da parte di Facebook in cui siamo resi dei personaggi pubblici nostro malgrado, il pudore è andato a farsi friggere. Sono spuntati Instagram e Snapchat. Si combatte a suon di hashtag su chi abbia il sedere più bello (#assambition). Si inventa il termine “basic bitch” per indicare ragazze o ragazzi che si fotografano in trend passeggeri, con l’ultimo beverone Starbucks e le sneakers cool del momento (con altrettanto account per prenderle in giro, brosbeingbasic). Si realizzano selfie erotico/artistici come quelli di Alexandra Marzella, che ti fanno ancora sperare nel mitico piano D. Ci si imbeve di immagini, ci si eccita, spesso si imita.

Fatele quelle foto. Per soddisfazione personale. E conservatele per ricordarvi quanto eravate e siete figh*. Autoeccitatevi.

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