Il matriarcato originario di Wonder Woman e le sue radici bondage

Foto copertina by me e Roberto G.

Sono stata sempre all’oscuro della storia di Wonder Woman fino a tempi recenti. Adoravo il suo logo e avevo visto qualche immagine dalla serie degli anni Settanta con Lynda Carter. Quando nel 2017 è uscito il primo film con Gal Gadot, ho pensato di andare a vederlo per conoscere meglio la sua storia. Ho scoperto che era un’amazzone di Temiscira con un lazo speciale, il lazo della verità, con cui legava le persone per punirle o fargli dire la verità. Una delle frasi che più mi ha colpito del film, però, non c’entra nulla con l’empowerment femminile ma è più legata all’ossessione dell’uomo moderno con il tempo. Diana, il vero nome di Wonder Woman, nota l’orologio di Peter, essere umano capitato per caso sulla sua Isola Paradiso, e gli chiede a cosa serva. Quando il militare le risponde che è per scandire il tempo, lei replica: “Lasci che questa piccola cosa ti dica cosa fare”. Diana Prince, suo nome terrestre, è molto di più di una supereroina. È stata un fenomeno straordinario negli anni Quaranta, antesignano della seconda ondata femminista che sarebbe arrivata nei Settanta, i cui semi avrebbe contribuito a gettare. Nacque dalla penna dello psicologo e inventore William Moulton Marston e si è trasformata in una delle sue più grandi fantasie erotiche.

Diana, una divinità primitiva

Il creatore di Wonder Woman ambientò con cognizione di causa il suo universo. Diana è il nome latinizzato di Artemide, personificazione della luna e sorella di Apollo, il sole. La dea è associata alle Amazzoni secondo una consolidata tradizione greca che le annoverava nel corteo della divinità ad Efeso. L’Artemide venerata dalle Amazzoni era simile alla Potnia Theron, la Signora degli Animali, epiteto greco e miceneo per divinità importanti. Questa espressione in riferimento alla dea è stata usata per la prima volta da Omero ne l’Iliade e poi nell’Odissea in situazioni in cui la divinità non era ben vista. I suoi fedeli erano soprattutto donne perché proteggeva le incinte e alleviava le loro doglie durante il parto. Terribile verso i maschi, è rappresentata con arco e frecce seguita da un corteggio di ninfe con accanto un cerbiatto, che simboleggia il suo rapporto con il mondo magico e lo sciamanesimo. Sulla spalla ha ripiegata una pelle di cervo, animale sotto le cui sembianze si mostrava ai suoi adepti. In Wonder Woman #12 del 1988 è rivelato che Ippolita diede il nome di Diana a sua figlia perché aveva conosciuto la madre di Steve, Diana Rockwell, quando aveva fatto un atterraggio di emergenza sull’isola di Temiscira. Wonder Woman può comunicare con ogni creatura vivente e calmarla grazie alla benedizione di Artemide.

Mosaico del quarto secolo. Amazzone con ascia bipenne combatte contro guerriero greco

Le amazzoni: verità o leggenda?

Il popolo amazzone è di probabile origine sciita o ittita, però non ne è mai stata provata l’esistenza. Il mito di stampo matriarcale nelle società antiche esorcizzava il potere femminile. Gli eroi che combattono la loro ginecocrazia difendono la cultura e la civiltà patriarcale. Provenienti da Mar Nero e Caucaso, le Amazzoni si insediarono sulle rive del Termodonte in Asia Minore e fondarono la città di Temiscira. Tra le varie parole di origine del nome c’è maza, che per Calmucchi e Circassi significava luna, da qui deriverebbe la connessione con Diana. Erano composte da sole donne e prendevano come amanti storpi o mutilati. I figli maschi morivano o erano azzoppati, le femmine ricevevano un training da guerriere. Molti dicono non avessero il seno sinistro, bruciato o tagliato in età precoce, per tirare meglio con arco e frecce in battaglia. Andavano una volta all’anno dai Gargareni, un popolo di soli uomini, con cui facevano figli. Il maschio lo lasciavano morire o lo storpiavano, la femmina la educavano come una guerriera. Le loro armi erano arco, lancia, ascia bipenne e scudo, quest’ultimo denominato pelta, né quadrato né ovale, del piccolo diametro di cinquanta centimetri.

La regina delle Amazzoni, Ippolita, madre di Wonder Woman, era quella innamorata dell’eroe Teseo, anche chiamata Antiope e Melanippe dagli storici antichi. Ippolita viene da Ippos, cavallo, talmente fondamentale per le amazzoni che le bambine erano nutrite solo a latte di giumenta. Ercole fece prigioniera Ippolita e la donò a Teseo. Altri dicono che fu rapita con l’inganno, altri ancora che si innamorò dell’eroe greco e fuggì da Temiscira di nascosto con lui.

Wonder Woman (2017)

Il matriarcato di Wonder Woman

William Moulton Marston creò Wonder Woman durante la Seconda Guerra Mondiale. Le donne avevano preso il posto degli uomini in tutti i lavori perché impegnati al fronte. Sembrava ci si trovasse agli albori di una nuova era. Marston, cresciuto da una famiglia femminile, percepiva fortemente questo cambio di vento e decise di dare vita ad un’eroina che rappresentasse le sue convinzioni antropologico-sociali. Viveva, inoltre, una relazione poliamorosa a tre con la moglie Elisabeth Holloway e la partner Olive Byrne. William era un professore universitario laureato in legge e psicologia, che aveva aiutato a inventare la macchina della verità e teorizzato il DISC sul comportamento degli individui oggi ancora usato. Firmava i suoi fumetti con lo pseudonimo di Charles Moulton e il primo disegnatore che diede forma a Wonder Woman fu H.G. Peters fino al 1958.

La missione iniziale di Wonder Woman non era risolvere i problemi della gente ma istituire un matriarcato. Marston era convinto che le donne fossero superiori all’uomo e dichiarò al The New York Times che avrebbero conquistato il potere politico ed economico degli Stati Uniti nell’arco di cento anni. Il canovaccio iniziale è simile al film del 2017 sulla supereroina. Il pilota aeronautico Steve Trevor, compie un atterraggio di emergenza sull’Isola Paradiso, dimora delle Amazzoni. La terra era stata data da Afrodite alle guerriere per farle lasciare il mondo violento degli uomini. La regina Ippolita scolpì una bambina nell’argilla in cui gli Dei infusero vita e le diede il nome di Diana. Quest’ultima soccorre Steve e lo medica al loro ospedale ma Atena e Afrodite dicono ad Ippolita che i maschi non possono rimanere sull’isola. Il pilota però ha informazioni cruciali sulla guerra del mondo esterno e le dee decidono che una guerriera deve accompagnarlo nel viaggio di ritorno per aiutare gli Stati Uniti. Ippolita indice un torneo per scegliere chi andrà in America e Wonder Woman si traveste per partecipare, dato che la madre glielo proibisce per paura di perderla. Vince e le fanno indossare la divisa a stelle e strisce per farla riconoscere come amica degli USA. Una volta sulla Terra l’Amazzone si cela dietro l’identità di Diana Prince, prima infermiera di Steve e poi sua segretaria.

Una prolificazione di bondage

Nel suo libro Emozioni di persone normali, Marston affermava che le femmine come sesso erano meglio equipaggiate dei maschi nell’assumere il comando emotivo. Per lo studioso la capacità delle donne di comandare era biologica e scrisse su un articolo del 1942 sul Tomorrow magazine che il futuro era donna. Promuovendo una società matriarcale, idealizzava la donna a tal punto da feticizzarla. Le prime storie della sua serie a fumetti erano piene di immaginario bondage che rifletteva il feticismo di William. L’arma principale dell’eroina era il lazzo dorato che usava per legare una enorme quantità di persone. Quasi ogni attività delle Amazzoni su Isola Paradiso coinvolgeva una qualche forma di bondage che faceva cambiare idea pure ai nemici più accaniti inducendoli ad amare la pace.

Il bondage di Marston era interamente incentrato sulla sottomissione in ogni aspetto della vita. Se agli uomini fosse stato insegnato a sottomettersi sin da piccoli, secondo lui il matriarcato si sarebbe affermato più velocemente. Pure agli addetti ai lavori era nota la mania di Marston. Un sergente dell’esercito americano gli scrisse una lettera eloquente: “Sono uno di quegli strani, forse sfortunati, uomini che derivano un estremo piacere erotico dal mero pensiero di una bella ragazza, incatenata o legata, o a volto coperto, o che indossa tacchi alti estremi o stivali allacciati alti – in realtà, ogni forma di costrizione o tensione qualunque. […] Hai anche tu lo stesso interesse in lacci e catene che ho io?” L’editore Max Gaines, dopo aver letto la lettera, scrisse immediatamente a Marston per chiedergli di modificare la serie ma il professore fece orecchie da mercante.

Il sesso secondo Marston

Le donne nel sesso non erano mai passive per il creatore di Wonder Woman. Durante il rapporto sessuale il corpo femminile catturava completamente quello dell’uomo che rispondeva ai suoi movimenti e solo col suo permesso. Marston era contro il sadismo e respingeva le accuse di sadismo rivolte al suo fumetto perché la sua protagonista non soffriva e trovava sempre il modo di fuggire. Tuttavia, le donne legate in Wonder Woman si dolevano infelici. Anche Diana era sempre in pena e si sforzava di non morire. E questo è l’opposto dell’intento del bondage, il piacere attraverso il dolore. Il sesso in sé non era rappresentato in Wonder Woman, c’erano solo tanti sottintesi. Marston non parlò mai esplicitamente di lesbiche. Pensava che le relazioni tra donne fossero parte naturale dei rapporti amorosi femminili, tuttavia, affiancavano sempre il legame con un uomo in una sorta di bisessualità. D’altronde, negli anni Venti tutti i rapporti al di fuori dell’eterosessualità erano considerati una perversione, un problema medico e psicologico. È possibile che le due compagne del professore abbiano avuto una relazione lesbica dato che rimasero insieme per quarant’anni dopo la sua morte.

Non si sa nemmeno come William vivesse il bondage nel privato perché lo sviscerò solo nelle sue teorie psicologiche. Un episodio del sesto numero del fumetto del 1943 dimostra tuttavia che fosse esperto almeno negli strumenti di costrizione. Diana partecipa ad un evento di beneficenza in cui viene incatenata e sommersa in una cisterna d’acqua. Prima che entri nell’acqua due vignette descrivono gli strumenti di tortura a cui sarà sottoposta: la maschera di pelle indossata dalle prigioniere del St. Lazare in Francia, una versione più soft della briglia della comare, il collare d’acciaio del Tibet, morsetti per manette dell’antica Grecia. La prima era una gabbia facciale blocca lingua usata quando le prigioniere ricevevano i visitatori per evitare si trasferissero appunti, veleni o piccole lime tramite un bacio. Il paradosso è che Wonder Woman riusciva sempre a scappare alle trappole sadiche rivelando la sua indole femminista.

Ms (luglio 1972)

Idolo delle femministe anni Settanta

All’inizio Wonder Woman conteneva Wonder Women of History, il progetto personale di Alice Marble, celebrity associate editor della DC Comics e tennista ritiratasi dalla sua carriera. Tracciò i profili di più di cinquanta donne che avevano avuto un certo impatto sul mondo dalla lotta per il diritto al voto fino all’approvazione del diciannovesimo emendamento nel 1920. Molte ragazze che poi sarebbero diventate giovani femministe leggevano queste pagine, una su tutte Gloria Steinem, fan accanita dell’Amazzone. Nel 1972 la giornalista e scrittrice fondò Ms, una rivista che voleva diffondere le idee del femminismo ad un pubblico più ampio. Sulla copertina del primo numero di luglio c’era proprio la supereroina col titolo Wonder Woman for President e un articolo di Joanne Edgar che auspicava un suo ritorno alle origini. Nemmeno uno stralcio di Ms faceva riferimento alla questione bondage. Steinem abbracciava la superiorità della donna dichiarata da Marston ma non ne capiva il sottotesto.

Nei primi anni Settanta le femministe di ogni corrente amavano le Amazzoni. Il motivo è da ricercarsi non solo nell’idea di un’idilliaca società matriarcale ma anche nel fatto che nel 1971 era stato pubblicato The First Sex di Elisabeth Gould Davis, che era convinta che la dominazione maschile non era stata sempre la norma. Il matriarcato era all’origine dell’umanità, da cui nacque l’omonima teoria del matriarcato originario. I primi esseri umani erano donne che si riproducevano tramite partenogenesi, un tipo di riproduzione in cui un uovo non deve essere fecondato da un agente esterno per generare vita. Un po’ improbabile per gli esseri umani, visto che non è stata osservata su nessun mammifero. Per Davis la prova delle sue credenze era nell’adorazione della Grande Dea Madre attestata nell’età primitiva. La bibliotecaria americana era influenzata dal libro Mothers and Amazons della storica austriaca Helen Diner, pseudonimo per Bertha Eckstein-Diener, con la celebre affermazione: “All’inizio c’era la donna”. Diner vedeva le battaglie degli antichi greci contro le Amazzoni come un cruciale punto di svolta per la società europea che sarebbe stata governata dalla società vincitrice.

Lynda Carter nella serie anni Settanta

Cosa rimane di Wonder Woman

Negli anni Settanta Wonder Woman raggiunse l’apice della popolarità con la serie sulla CBS che andò in onda per tre anni e con i cartoni animati sulla ABC. È rimasta fino ai giorni nostri un riferimento costante della cultura nerd e non. Si pensi a Sheldon Cooper costretto a vestirsi da Wonder Woman dopo aver perso una scommessa con il suo peggior nemico, Will Wheaton. Ma anche al revival sul grande schermo degli anni recenti con Gal Gadot nei panni di Diana Prince in Wonder Woman (2017), Justice League (2017), Wonder Woman 1984 (2020). Il problema è che il personaggio si è troppo adattato alle epoche e ai gusti dei lettori tanto da non avere più un carattere ben preciso. Donna forte, coraggiosa e determinata ma niente più di un’eroina che sputa sangue per un pubblico prevalentemente maschile. I suoi fumetti sono svuotati di ogni emozione. È coinvolta in mirabolanti avventure senza coinvolgere il lettore. Il suo corpo è lo stereotipo di una donna alta, atletica e attraente. Combatte senza mordente e anche al cinema, al di fuori del primo film del 2017, pare ripercorrere questa strada. Ci vorrebbe un reboot serio e competente per farla ridiventare la paladina di un transfemminismo intersezionale e di una sessualità fluida. Senza la cultura patriarcale della guerra sarebbe chiedere troppo?

Wonder Woman (2017)

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