Paola Malloppo è una fotografa originaria di Foggia che è diventata famosa per i suoi ritratti di donne, seminude e nude, che mostrano il proprio potere sensuale in ogni tipo di corpo. Ogni modella, spesso non professionista, ha la sua anima e il suo modo di porsi di fronte all’obiettivo. Paola fissa alcune in faccia, altre le guarda solo in specifiche parti del corpo. Nella sua storia in evidenza su Instagram intitolata “Come lavoro” avverte: “Non mi interessa la bellezza, preferisco il carattere. Tendo a non fotografare ragazze che posano solo ed esclusivamente per vanità: non sono qui per farvi sentire belle se già non lo credete da sole”. La fotografia di Paola è spontanea, naturale, non invasiva e fornisce un ritratto inedito della persona. Nel 2016 ha iniziato un progetto rivoluzionario in Italia sulla masturbazione femminile, Self-Control, ancora in corso, in cui ha chiesto a delle ragazze di mostrarle il loro modo di masturbarsi.
Come sei arrivata alla fotografia erotica?
Una delle prime foto che ho scattato era una fotografia erotica, quindi evidentemente il desiderio c’è sempre stato. Per tanto tempo ho fotografato un po’ di tutto e poi sono ritornata all’erotico perché avevo sempre voluto provare a fare meglio in questo campo. Quando mi sono trasferita a Bologna, sono riuscita a trovare più modelle disponibili, a creare una rete e ad avere più successo.

Le modelle si proponevano da sole?
All’inizio erano poche le volontarie e altrettanto poche quelle che mostravano il viso in foto. Quest’ultimo particolare mi ha fatto creare il mio primo progetto, Censored, foto di nudo in cui non si vedevano i volti delle ragazze. Lo esposi a Foggia perché mi parve la città giusta; rispetto al nord, ha una mentalità più ristretta che si adatta bene al senso della mostra.
Nel tempo hai identificato uno scopo ben preciso da mostrare in fotografia?
Col tempo ho capito che non si arriva mai pienamente ad una risposta, c’è sempre una parte dello scopo che si riesce a carpire ed una istintuale che sfugge. Sicuramente l’intento è sdoganare il nudo, far spogliare più gente possibile (ultimamente cerco di fotografare anche uomini, anche se non è semplice). Mi piacerebbe che la nudità diventasse una “cosa da tutti i giorni”. Poi ci sono tanti piccoli motivi, che ho iniziato a collezionare nel corso del tempo e che variano un po’ anche a seconda del periodo o della situazione.
Sono più disinibiti gli uomini o le donne?
Dipende dalla personalità del soggetto. A volte può capitare, addirittura, che sia più disinibita io, e che quindi debba “aiutare” il soggetto a venire fuori.

Ottieni subito la fiducia delle modelle?
Molte delle ragazze che ho scattato mi hanno detto di avere più fiducia in me che in un fotografo uomo. Questa è una cosa che mi dispiace perché utopicamente mi piacerebbe che tutti avessero fiducia in tutti. Nel mio caso, comunque, si tratta spesso di ragazze che non hanno mai scattato e si sentono più a loro agio e sicure nel farlo con una donna la prima volta.
Cosa fai per metterle a proprio agio?
Non ci sono strategie particolari. Valgono le regole del buon senso civile: non essere invadenti e non forzare una persona a fare qualcosa che non vuole. Lasciarsi il tempo per parlare, prima di cominciare, credo sia importantissimo (per il mio tipo di foto, ovviamente).
C’è qualche tabù che hai in comune con le tue modelle?
Sono una persona molto diversa dalle ragazze che ritraggo. Non appaio mai in foto per una questione pratica, per separare la vita fotografica da quella privata. In generale, non sono mai stata una fan delle foto a me stessa, non mi sono mai dedicata all’autoritratto, ho sempre invidiato nelle modelle che fotografo quella capacità di mettersi davanti all’obiettivo, anche in maniera un po’ sfrontata. Forse scattargli delle foto è un modo per partecipare a questa disinibizione. Più che un tabù, mi sembra un feticcio.

Le tue foto aiutano le modelle ad abbattere i tabù?
Sì, a volte hanno delle insicurezze che cerchiamo di superare insieme. Spesso me lo dicono apertamente, prima o dopo. Mi confessano spesso che le foto le hanno aiutate a vincere tabù personali. Scattando in analogico, ottengo foto reali, non ritoccate: brufoli, smagliature, pelle d’oca sono ben visibili. Le modelle vedono nella vecchia pellicola una foto bella ma reale, in cui vengono a patti con le loro imperfezioni.
Credi che ci sia del voyeurismo nei tuoi ritratti?
Sicuramente. Credo sia una cosa implicita nel mezzo: la lente della macchina fotografica è come il vetro di una finestra o il buco di una serratura.
Dal 2013 senti che c’è stata un’evoluzione nella tua fotografia, ciò che cercavi prima è lo stesso di adesso?
Da quando ho iniziato sono cambiate tante cose. Per quando riguarda il pensiero che c’è dietro, è sicuramente maturato, la parte conscia diventa sempre maggiore e si aggiungono dei piccoli tasselli mano a mano che trascorre il tempo. A livello di mezzi o stile (se così si può chiamare), sono passata dal digitale all’analogico e questo mi ha portato a ripensare la mia fotografia. Adesso sono più limitata, soprattutto nei tagli e nella postproduzione.

Come mai hai fatto questa scelta?
Per una questione pratica. Ho notato che quando scattavo in digitale, mi concentravo troppo su quello che veniva fuori. Ogni volta guardare lo schermo era come interrompere un processo. Su un set fotografico c’è una certa aura tra te e il soggetto, un contatto visivo continuo che non dovrebbe essere spezzato. L’analogico ti permette di focalizzarti su quello che sta succedendo lì in quel momento, mentre il digitale ti distrae molto. È come avere un cellulare sul tavolo mentre sei ad un appuntamento importante.
Tre cose che in ordine rappresentano per te sensualità, erotismo e pornografia.
Onestamente non le ho queste tre cose perché trovo questi tre termini aleatori. Sensualità ed erotismo mi sembrano due sinonimi. La pornografia è un termine che ognuno riempie un po’ come vuole, per molti è una degenerazione dell’erotismo e questo mi dispiace perché sembra porre un limite al nudo, e per me quest’ultimo non dovrebbe avere nessuna linea di demarcazione.
Che progetto ti piacerebbe intraprendere che non hai già fatto?
Sto ancora portando avanti il progetto Self-Control sulla masturbazione femminile, in cui fotografo il modo che le donne hanno di masturbarsi. Ho tanti progetti in testa che spero di poter realizzare. Non sono tipa da iniziative di ‘pancia’, quando rifletto su un lavoro mi chiedo il motivo per cui lo faccio e come lo voglio organizzare, ma a volte questo porta anche ad un periodo di stasi.
In Self-Control hai scoperto qualcosa di nuovo sulla masturbazione femminile?
Ho scoperto tantissime cose che non sapevo nel fotografare così tante ragazze e nel parlare così tanto con loro di certi meccanismi, si arriva ad avere una prospettiva molto ampia del fenomeno, spesso ridotto ad uno stereotipo da internet o da mondo del porno. Fotografando queste ragazze credo di aver ottenuto una narrazione – quasi – completa.
È difficile trovare volontarie per questo progetto?
Sì, soprattutto perché è l’unico progetto in cui mi rifiuto di coprire il volto (il taglio diventa una scelta mia). Ho bisogno che la masturbazione venga accolta come un’azione naturale, spontanea e diffusa e credo sarebbe un controsenso se le modelle si vergognassero. In un certo senso diventano delle testimoni.
