Le body chains trasformano in una divinità dai molteplici volti

Sono sempre stata intrigata da ciò che è esotico ed erotico allo stesso tempo. Quando ho visto per la prima volta delle catenine per le gambe in un video musicale me ne sono subito innamorata. La decorazione del corpo senza esagerazioni con accenni di quello che i vestiti nascondono mi ha sempre attirata e la scoperta dell’universo delle body chains, bra e leg chains mi ha galvanizzato. La cavigliera alla schiava non mi soddisfaceva più (anche perché prende il nome dal tipo d’incastro tra catene). Le body chains sono catene d’oro, argento o altri metalli con una catena che di solito passa in mezzo al busto e diverse ai lati sopra le spalle o sotto sui fianchi che si allacciano con un gancio dietro al collo, alla schiena o al sedere. Beyoncé le indossava in tempi non sospetti nel video di Crazy in Love ft. Jay-Z, Beautiful Liar, Partition e sembra le ami molto pure nella sua vita privata. E poi a ruota Miley Cirus, Rihanna, Nicki Minaj, Jennifer Aniston sul red carpet dei Golden Globes 2015, piano piano è diventato più che un trend una moda su larga scala.

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Beyoncé in Crazy in Love (2003)

Incuriosita sulla loro provenienza ho chiesto ai primi esperti di catene che mi sono venuti in mente: nel mondo della gioielleria, Ludovica Martire, e in quello del BDSM, Ayzad. Ludovica ha un marchio di accessori, Made in Pain, di ispirazione bondage e mi ha detto che le body chains vanno per la maggiore in questo momento, soprattutto col choker. “Bisogna avere un corpo proporzionato (non magro e perfetto), altrimenti la playsuit andrà ad accentuare i difetti”, avverte, “Nel BDSM le catene richiamano la donna schiava, la sub, che stuzzica l’immaginario erotico. Basti pensare a quanto agli inizi degli Ottanta rimase impressa la Principessa Leia versione schiava ne Il Ritorno dello Jedi“.
Ayzad scende più nello specifico: “Nell’ambito dei giochi erotici di dominazione e sottomissione, i collari indicano un legame formale di appartenenza: proprio come accade con i cani, con o senza guinzaglio sanciscono anche davanti al mondo come un corpo accetti di essere di proprietà dell’altro, ma anche come il padrone accetti la responsabilità di prendersi cura dello schiavo. In un senso più generale i collari indicano – magari anche inconsciamente – lo stato di “preda” che si pone in un ruolo di inferiorità o di offerta sensuale”.
Ludovica sottolinea, però, un concetto importante: “La catena è come una linea guida che porta lo sguardo su punti del corpo in cui non cadrebbe”. Questa è la forza di questo tipo di accessori, piuttosto che svolgere una reale funzione. Come conclude Ayzad, “Meglio non dare per scontato che chi porti una body chain sia in cerca di esperienze erotiche particolari”.

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Briseide, Made in Pain, Ludovica Martire

In effetti la body chain non è stata inventata dal mondo sadomaso o da quello della schiavitù nei secoli ma la sua origine è da ricercarsi in India. Le statue dei templi del Tamil Nadu rivelano una Parvati, dea madre con 100 nomi, moglie di Shiva, vestita di soli gioielli, tra cui una catena che le percorre il corpo rotondo, come se lo dividesse a metà o in diagonale. È probabile che nel suo caso questa abbia il compito nell’iconografia di ricordare in contemporanea la separazione e l’unione di Shiva e Parvati, aspetto maschile e femminile, distinti ma complementari nella raffigurazione di Ardhanarishvara (il Signore metà donna). La leggenda esplicativa più popolare dell’unione tra i due narra che Brahma creò esseri umani maschili e gli indicò come creare gli altri scontrandosi con la loro incapacità a riguardo. Quando Shiva gli comparve davanti in forma androgina, Brahma capì la sua omissione e creò le femmine. Il fatto che aspetti e funzioni delle divinità siano indicati con gioielli è tipico dell’Induismo. Essendo l’India, il Bangladesh ed il Nepal regioni ricche di metalli e minerali, è sempre stato naturale per le popolazioni ricoprirsi di monili preziosi. Venivano addirittura offerti in dono ai templi e la casta dei gioiellieri è tra le più importanti, discendente dall’architetto divino Vishwakarma. Anche le prostitute sacre (devadasi) dei templi si diceva danzassero nell’antichità nude ricoperte di gioielli per ricoprire meglio il loro ruolo di spose di un dio.
Le body chains sono tornate in auge in epoca moderna grazie alle Burlesquer (passate e moderne), ai balletti di Bollywood e ai festival particolari di musica come Coachella e The Burning Man.

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Parvati, Tamil Nadu, India

Gli uomini non impazziscono per le catene sul corpo, alcuni le considerano pacchiane: “Ho sempre trovato i monili delle inutili orpellerie, mi deconcetrano nell’intimità”, “Mi piacciono molto, sono affascinanti, ma non ne vedo quasi mai”. Sono apprezzate dalle donne purché non siano troppo pesanti e volgari. La maggior parte è convinta che se non si hanno le forme adatte non possano essere indossate. Per me prevale il principio che se uno si sente a proprio agio, lo trasmette pure agli altri, e per questo è già da considerarsi una divinità. Che unisce femminile e maschile in un essere sensuale unico.

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2 Replies to “Le body chains trasformano in una divinità dai molteplici volti”

  1. Anche le cavigliere arrivano dall’India. E occhio a dove le si indossa perché hanno un significato preciso: a destra significa sono libera, a sinistra sono fidanzata. Viene usata a destra anche nelle donne accoppiate ma con partner che acconsente all’accoppiamento della lei con un altro maschio. Le body chain, più che “schiava” indicano libertà sessuale.

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