È probabile che sia stata una delle poche bambine che non hanno mai avuto il desiderio di vestire il ruolo di una forza dell’ordine. Non mi attiravano nemmeno i vigili del fuoco. Forse perché sul piano psicologico sono sempre stata abituata a dettare le regole o ad essere autoritaria. Questo però è successo dopo i vent’anni, durante l’infanzia e l’adolescenza ero timida e tendente a farmi mettere i piedi in testa per troppa bontà o fesseria, a seconda dei punti di vista. Ogni anno per il blog mi vesto da stereotipo che in genere è l’opposto di quello che sono o un suo frammento riduttivo. Ho deciso di vestirmi da poliziotta perché non ne vorrei mai essere una ma sono ben conscia del potere ambiguo che racchiude il suo travestimento. Da un lato è una figura autorevole e dall’altro è una temibile. Questa ambivalenza costituisce la base del suo successo.
Il tabù del potere
A Carnevale è più facile vestirsi da poliziotta che da soldatə nazista. Questo è certo perché nel primo caso può essere solo un’antipatia verso un tipo di uniforme, nel secondo si tratta di un tabù, che è stato più volte infranto senza aver bisogno di un Martedì Grasso. Tuttavia anche l’uniforme da poliziotto ha i suoi simboli: cappello con visiera rigida che cambia la fisionomia, titoli o gradi sopra al taschino, cintura stretta in vita, armi (manganello, pistola) e manette. L’uniforme indica l’appartenenza ad un gruppo, sopprime l’individualità e spesso depersonalizza l’individuo, tanto che quando un poliziotto si toglie il cappello d’ordinanza già sembra un’altra persona. La divisa aumenta l’attrattività sessuale di un individuo. La simmetria rigida dell’abbigliamento paramilitare emana fantasie di dominazione e sottomissione classiche del BDSM. I poliziotti sono legalmente dotati del potere dello stato militare: significa che la loro autorità e violenza sono legittime fino a prova contraria. Per questo motivo, la connotazione erotica è derivata dall’eccitazione sessuale che diverse persone associano alla violenza. La differenza è che in un rapporto BDSM corretto tutte e due le parti coinvolte osservano la regola SSC: sano, sicuro e consensuale.
Feticismo in un uniforme
L’uniforme in sé può essere anche un feticismo. Magari le persone possono eccitarsi in determinate situazioni solo se indossano una divisa o vedono un altro che la indossa. L’illustratore gay Tom of Finland diceva che la sua attrazione verso l’uniforme era così potente per lui che si sentiva come se stesse facendo l’amore con i vestiti. In effetti, quando ci guardiamo allo specchio in un outfit in cui ci sentiamo sexy, spesso ci eccitiamo, mentalmente o fisicamente. Gli psicanalisti di inizio secolo ci andavano ancora più “pesanti”: associavano precisi simboli sessuali ad abbigliamento e accessori. Freud nell’Interpretazione dei Sogni (1900) e nel suo articolo Feticismo (1927) dice che la pelliccia è sinonimo di peli pubici, la lingerie è il momento dello svestirsi, la seta rappresenta la morbidezza della pelle e il cappotto, il cappello e la cravatta sono il fallo. L’autore della Psicologia dell’Abbigliamento, J.C. Flügel, va più lontano di Freud affermando che l’intero simbolismo dell’abbigliamento è sessuale. Oltre agli indumenti e agli accessori che abbiamo visto sopra, sarebbero fallici colletto, bottone, pantaloni, tacco e punta della scarpa. Quest’ultima però potrebbe rappresentare anche la vagina in cui scivola il piede fallico. Vi sembra troppo? Considerate che il feticista prova desiderio per una sola parte del corpo o articolo di abbigliamento che funziona come “sostituto” di una persona. Adesso sappiamo che il suo dimostrato trasporto non è altro che eccitazione.
La storia dell’uniforme di polizia
La prima uniforme di polizia moderna proviene da Londra che codificò l’abbigliamento dei suoi agenti nel 1829. Da questa metropoli in divenire è partita l’industrializzazione delle città nel mondo. Le divise erano di colore blu scuro per distinguersi dall’esercito inglese bianco e rosso ed erano in stile paramilitare. A New York i poliziotti adottarono un’uniforme simile nel 1853. Il primo corpo di polizia in Italia risale al 1814 nel Regno di Sardegna in affiancamento ai carabinieri reali. Nel 1847 la direzione della polizia fu affidata al Ministero dell’Interno. Durante l’Unità d’Italia il poliziotto italiano doveva essere celibe e non sposato per non avere esitazioni affettive durante le missioni pericolose. Il nostro corpo di polizia come lo conosciamo oggi nasce nella Repubblica d’Italia dopo la Seconda Guerra Mondiale, la sezione femminile invece sarà avviata nel 1959. Quest’ultima aveva specifici doveri: tutela di moralità pubblica, famiglia, donne e minori. Fino al 1981 la polizia si chiamava “Guardie di Pubblica Sicurezza”, un vecchio termine sabaudo (1848) appioppato perché il popolo non gradiva il nome “polizia”. La legge del 1 aprile del 1981 diede i natali all’attuale Polizia di Stato. Da questo momento in poi le donne hanno potuto occuparsi di tutti reparti operativi e fare carriera.
Casi anomali di uniforme: giacca negli Stati Uniti e pantaloncini in Libano
Sono stati condotti molti esperimenti e test per eliminare la serietà e la militarizzazione delle uniformi di polizia senza particolare successo. In numerosi casi, le persone sono tendenti a fidarsi di più, sentirsi al sicuro e vedere come professionali agenti in divisa completa. Nel 1969 la polizia di Menlo Park in California acquisì una divisa informale con giacca e distintivo ricamato sul taschino, camicia e pantaloni verde scuro. Le armi erano nascoste sotto la divisa. Nei primi diciotto mesi le aggressioni ai poliziotti diminuirono del 30% e quelli degli agenti nei confronti dei civili del 50%. Il loro esempio fu seguito da quattrocento stazioni di polizia negli Stati Uniti. Dopo otto anni, nel 1977, tornarono ad una divisa paramilitare perché in seguito all’iniziale novità, i dati degli assalti e della violenza da parte e contro la polizia erano tornati gli stessi in salita degli anni precedenti. I cambiamenti di quei mesi erano probabilmente dovuti all’abbandono della gestione autocratica tradizionale e all’assunzione di poliziotti educati all’università. Quando i poliziotti tornarono alla divisa consueta, le aggressioni diminuirono di nuovo. Questo dimostra che una novità di qualsiasi tipo nell’uniforme sortisce degli effetti temporanei che poi spariscono con l’abitudine.
Nel 2018 a Brummana in Libano le poliziotte ausiliarie assunte per l’estate sono state vestite con dei pantaloncini a differenza dei loro colleghi maschi che sono rimasti in pantaloni. La “trovata” ha suscitato scandalo in un Paese in cui convivono musulmani e cristiani. Lo scopo dell’amministrazione comunale era puramente commerciale e sessista: attrarre più turisti nella cittadina. Le proteste maggiori dicevano che era inappropriato oppure che l’obbligo di indossare gli shorts doveva essere esteso anche agli uomini per par condicio. La parità d’abbigliamento sul lavoro è fondamentale.
Apprezzabile.
Però nel mio immaginario la vigilessa è inarrivabile (per molti motivi che sarebbe troppo lungo spiegare, e non tutti erotici).
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