Disclaimer: Attenzione! Foto esplicite
A Grottammare in provincia di Ascoli Piceno è in esposizione fino al 31 agosto la mostra “Shunga – Amore e Passione nell’Arte Fluttuante” organizzata dall’associazione culturale Vidacilius e dall’antropologo Giacomo Recchioni nella sede di Vidacilius a Grottammare (AP). Si tratta di stampe dell’arte erotica giapponese in stile ukiyo-e. Il nome Shunga significa “pittura di primavera” e rappresenta scene sessuali eterosessuali e omosessuali su pergamene, libricini, schizzi, e addirittura stoviglie per cerimonia del tè (nella mostra c’è un raffinato set di porcellane da tè con scene sessuali esplicite). La produzione artistica dell’esposizione copre tutto il periodo Edo, che va dal 1603 circa al 1868, anno della Restaurazione Meiji e dell’apertura del Giappone all’Occidente. La collezione è del mecenate Agostino Vallorani.
Ad inizio percorso l’antropologo Recchioni spiega le varie stanze ed epoche della mostra. Gli Shunga avevano come protagonisti prostitute, geishe e attori teatrali che non erano necessariamente nudi perché la nudità in Giappone non era sinonimo di erotismo: per la società Edo non contava la fisicità nel sesso ma il raggiungimento del piacere. In quest’ottica, mi ha colpito la presenza di stampe con uomini che eccitano prima del rapporto sessuale le donne sulla clitoride. Ciò che invece era evidenziato a volte palesemente, altre in modo più nascosto, erano i genitali di dimensioni esagerate. Esistevano anche delle versioni miniaturizzate che i samurai si portavano in battaglia in formato ripiegabile o in piccoli rotoli posizionati sul petto sotto la veste. Gli shunga erano anche dei portafortuna in guerra e contro calamità naturali.