C’è chi dice che la prima a spogliarsi sia stata Inanna (Ishtar), la dea sumera della fecondità, per andare a fare le condoglianze a sua sorella nell’al di là. Per ogni cancello infero lasciava in pegno un indumento per denudarsi del suo potere terreno. Alcuni dicono sia stata Salomé con la sua danza dei sette veli. Comunque sia andata, l’età d’oro dello strip fu sicuramente tra fine Ottocento ed inizio Novecento, in piena Belle Époque, quando cortigiane, ballerine e attrici conducevano una doppia carriera mostrando le gambe alle Folies-Bergère di Parigi, il primo music hall della città. Si esibivano in numeri esotici simili a quelli del circo. Non si svestivano mai completamente ma stuzzicavano la fantasia del pubblico con il loro abbigliamento. Nel frattempo il Burlesque era nato a New York grazie al gruppo The British Blondes cappeggiato da Lydia Thompson. Con loro si passò dallo sketch comico all’esposizione di una manifesta sessualità femminile. Le Ziegfeld Follies lanciarono una versione ricca e pulita di quest’arte nel 1907 facendo il verso al Moulin Rouge di Montmartre. Dal 1920 lo spogliarello esplicito prende piede a Broadway come forma di competizione con le coreografie di Ziegfeld. Spettacoli meno intellettuali e più carne in vista. Tra alti e bassi il Burlesque resistette fino ad inizio anni Sessanta. Con l’invenzione di Playboy (1953), Penthouse e in seguito con rivoluzione sessuale e femminismo, cadde in decadenza in favore dello striptease duro e puro da night club fino agli Anni Novanta quando fu riportato in auge da Catherine D’Lish e Dita Von Teese.
A noi donne piace il Burlesque. Lo guardiamo con ammirazione se la performer si stima e riesce a non essere né ridicola né volgare. Qualcuna guarda per apprendere, un’altra per stima, un’altra ancora per divertirsi. Siamo affascinate da corsetti, reggicalze, autoreggenti, calze di nylon con riga vecchio stile, strass, pasties e nipple tassels. Qualche volta per sogno o sfida ci immaginiamo di essere in quegli indumenti scenografici che gli americani chiamano “regalia” e spesso cancelliamo la visione perché ci figuriamo goffe e impacciate nell’imbarazzo più assoluto. Inutile fantasticare, in privato è così che va. Non tanto per l’uomo a cui non importa nulla in linea di massima, ma per gli svariati problemi di accettazione con noi stesse. Se non ci prendiamo sul serio anche in uno spogliarello ironico, risulteremo grottesche. Abbandonate l’idea, se non è il vostro elemento.
Tralasciando il motivo estetico, la donna indossa questo tipo di lingerie, che nell’epoca moderna è una sorta di sotto-abbigliamento, per autoeccitazione. Molto dipende da un immaginario, spesso erroneo, della donna “lasciva”, “dissoluta”, “infedele” che infrange le norme usando un intimo che è una goduria per gli occhi. La trasgressione “esotica” ha sempre il suo fascino erotico. E’ una situazione eccitante stare di fronte al vostro partner conciate così. Può rimanere fantasia. Però qui stiamo parlando della sua traduzione in realtà.
Spogliarsi è un’arte. Richiede tempo, premura e dedizione in preparazione e riuscita, condite da una sana autoironia. E deve personalmente eccitarvi. L’ansia da prestazione è quasi inevitabile. Molte di noi sterzano, alzando solo il vestito o togliendo tutto in una volta. Dipende dal livello di eccitazione di entrambi. Se si è troppo “agitati”, meglio lasciar perdere e andare subito al sodo. A meno che non seguiate un corso di Burlesque o siate delle stripper professioniste, un’idea stuzzicante è concedere al vostro partner di spogliarvi. Guidarlo nello slacciare e sganciare è divertente perché si partecipa in due. La lentezza è sempre importante, impedisce l’impaccio. Non togliersi subito reggiseno e mutandine permette di essere toccate attraverso il tessuto, un modo stimolante per costruire una tensione sessuale elettrica.
Ricordo di nuovo: bisogna avere tempo per farlo. Non si può creare aspettativa a chi non ne possiede.
Trovate la vostra Inanna interiore ed esibitela al mondo.