La minigonna da studentessa è diventato l’indumento più sexy e indossato dell’ultimo secolo, e la sua fama sembra non destinata a tramontare come dimostra la sfilata primavera/estate 2022 di Miu Miu. L’immagine più impressa nel nostro immaginario è Britney Spears nel videoclip di “Baby One More Time” (1999) in golfino aperto, camicia bianca annodata, gonna a pieghe, calzettoni bianchi, mocassini e codine che balla nel corridoio di una scuola. Nonostante poi siano arrivati altri video come “All the things she said” delle t.A.T.u., “Hollaback Girl” di Gwen Stefani, e, più di recente, Charli XCX con “Break the rules”. Britney Spears attira l’attenzione perché è bionda, innocente e ancora un po’ bambina come Lolita nell’omonimo romanzo di Vladimir Nabokov. La presunta innocenza, che nasconde anche una presunta verginità, è il “valore” chiave dietro alla minigonna da studentessa, ma questa, adottata in versione tartan dal movimento punk, è diventata anche ribelle. E non grazie a Vivienne Westwood ma al principe Alberto, marito della regina Vittoria del Regno Unito.
Tutta colpa dell’Inghilterra
La gonna da studentessa è un pezzo dell’uniforme scolastica che affonda le sue origini negli istituti di carità inglesi. Per gli uomini, i primi ad essere scolarizzati, le origini risalgono alle scuole cristiane medievali, mentre per le donne solo agli anni Venti del Ventesimo secolo. Il principe Alberto fu il primo ad introdurre il tartan nei pantaloni della divisa maschile degli studenti del Wellington college nel 1859, ispirati al reggimento scozzese. Le prime scuole per ragazze iniziarono a comparire nel Regno Unito a metà Ottocento e richiedevano un abbigliamento simile a quello di tutti i giorni con corsetto e gonna lunga. Presto, però, le attività sportive richiesero un abbigliamento più pratico, una tunica simile al grembiule che si trasformerà nella divisa scolastica femminile per eccellenza fino alla Seconda Guerra Mondiale (con camicia sotto).
La marinaretta
La divisa alla marinaretta proviene, in parte, dalla divisa della marina militare inglese (1859). Nel 1890 fu adottata dalla Roedean School di Brighton per le ore di palestra. Il tema nautico fu scelto probabilmente per la vicinanza al mare: camicia da marinaio bianca e blu e una gonna a pieghe blu navy sopra la caviglia, poi completata da una giacca da pescatore a doppio petto e una paglietta (cappello). Questo tipo di divisa era stata applicata in precedenza solo ai bambini. Negli Stati Uniti lo stile fu diffuso per le ragazze nei primi anni del Ventesimo secolo grazie ad un ex sarto della marina, Peter Thomson.
No pantaloni, siamo femmine
Le divise scolastiche per uomini, già codificate con camicia, giacca e cravatta, furono adottate per le femmine dalla vita insù. Grandi assenti i pantaloni perché troppo sovversivi: si credeva, infatti, che avrebbero portato alla spudoratezza e all’immoralità. Appropriarsene era considerato un affronto al patriarcato e, quindi, all’autorità maschile. Si ritrovano solo in alcune divise sportive, alla zuava. Al contrario di oggi, l’uniforme della scuola era considerata inattraente e una sorta di limbo tra elementi della moda maschile e femminile che nascondeva le forme da donna delle ragazze per dare la sensazione di un essere androgino. Indicava una parità di status e di ruoli di genere molto lontana dalla situazione reale della società del tempo.
L’introduzione della divisa femminile come la conosciamo oggi
Il passaggio dal grembiule a camicia, gonne e calzini lunghi si ha negli anni Cinquanta dopo le restrizioni vestimentarie della Seconda Guerra mondiale grazie alla rinnovata importanza della moda. Il New Look di Christian Dior influenza l’attire estivo delle studentesse del Cheltenham College con vite ben definite e gonne lunghe, anche se non diventa un outfit universale per tutte le scuole.
Le divise scolastiche di tutto il mondo sono ispirate a quelle inglesi e le ragioni affondano nel colionalismo dell’impero britannico. Anche quelle del Ventennio fascista, in particolare quella delle Piccole Italiane, con camicia, golfino, gonna sopra al ginocchio, calzini, berretto, guanti e mantella.
Il tartan nelle scuole americane
Bonnie Prince Charlie, ovvero il capo militare giacobita Charles Edward Stuart, rese il tartan un simbolo potente dell’unione delle genti scozzesi contro il regno d’Inghilterra. I giacobiti, infatti, volevano riportare re Giacomo II Stuart sul trono dopo che la Gloriosa rivoluzione aveva destituito la sua dinastia. La battaglia di Culloden decretò la definitiva sconfitta dei giacobiti e la messa al bando del tartan per quarant’anni. Solo sotto la regina Vittoria l’indumento venne rimobilitato. Negli Stati Uniti il tartan esplose negli anni Sessanta nelle scuole cattoliche, immesso sul mercato dai principali fornitori di uniformi scolastiche cattoliche, che spesso avevano contratti con intere reti di scuole diocesane. Il vantaggio del tessuto era trasmettere un immediato senso di appartenenza a seconda del colore diverso del filato senza bisogno di aggiungere accessori.

Il punk si appropria della ribellione scozzese
Alla fine degli anni Settanta, il tartan fu riportato al suo spirito ribelle originario da Vivienne Westwood e Malcom McLaren nel loro negozio sulla King’s Road, Seditionaries. I due drappeggiavano i kilt su completi bondage neri, reinterpretando il guerriero della battaglia di Culloden come un “guerrigliero urbano” che combatteva per strada. Nella sua famosa collezione Anglomania (1993), Vivienne creò il tartan MacAndreas in onore di suo marito Andreas Kronthaler. Il disegno azzurro dai fili rosa è ufficialmente riconosciuto da Lochcarron of Scotland, registrato nel registro dei tartan e si ritrova nelle attuali collezioni del brand. Tuttavia, il tipo più conosciuto al mondo, più aggressivo e sexy è il Royal Stewart, adottato dal padre della regina Vittoria nel 1822, Giorgio IV, divenne quello ufficiale della famiglia reale inglese. È rimasto popolare fino ai giorni nostri ed è ormai universale.
Il travestimento da school girl tra gli adulti è dovuto a un fumetto
Dal 1879 il vestito da studente è oggetto di carnevalate ed è presente nella lista di costumi di un ballo in maschera riportata da un giornale dell’isola di Wight. Pensate che il film Giovani Streghe (1996) sia il primo ad aver reso sexy l’uniforme scolastica? Wrong! Il primo è stato St. Trinian’s, un fumetto comico inglese di Ronald Searle uscito tra anni Quaranta e Cinquanta su una scuola femminile di monelle che è giunto fino ai giorni nostri attraverso uno degli ultimi film del 2007, con Rupert Everett e Colin Firth, in un’atmosfera da discutibile commedia sexy. Le allieve sono delle delinquenti violente e gli insegnanti dei sadici. Non solo. Le professoresse sono lesbiche, le allieve ubriache, fumano e commettono atti criminali. Le studentesse più grandi manipolano sessualmente gli uomini vestendosi in modo provocante. Nella loro rappresentazione è evidente che le studentesse portino una o due giarrettiere attaccate alle calze nere. Si trattava di una parodia di libri molto popolari all’epoca che introdussero il genere scolaresco nei romanzi per ragazze, come quelli di Angela Brazil o Enid Blyton. Il fumetto ebbe un successo così strepitoso, soprattutto attraverso i film a riguardo (1954-1980), che gli uomini iniziarono a vestirsi da studentesse del St. Trinian’s, molto più delle donne. La facilità di replica del travestimento faceva anche il suo gioco.
La fascinazione erotica per la studentessa
Lolita, prima col romanzo del 1955, poi con il film del 1962, fece da apripista all’eroticizzazione della ragazza acerba: abbastanza adulta da essere disponibile ma abbastanza bambina per non essere considerata una minaccia per l’uomo. Come se le ragazzine fossero delle bambolotte invece che degli esseri umani! Ciò che attira di più il genere maschile è poter insegnare il sesso a ragazze poco più che bambine, ritenute, in modo stereotipato, vergini e innocenti. Questi elementi sono alla base della sessualizzazione delle ragazze in divisa scolastica, che continua ancora oggi nelle canzoni, nei fumetti, nei romanzi, nel cinema e nelle serie tv. Tanto che la relazione tra professore e studentessa, come quella tra professoressa e studente, è un topos. Vi ricordate la famosa canzone dei Police, “Don’t stand so close to me” (1980)? Racconta proprio della fascinazione, ricambiata, di una alunna per il suo professore e si riferisce ai tempi in cui Sting faceva il professore nelle scuole superiori. L’incipit è chiaro: “Young teacher, the subject of schoolgirl fantasy, she wants him so badly, knows what she wants to be”. Sting spiegò nel libro “The Police – L’Historia Bandido” (1981) che lui piaceva alle studentesse e queste piacevano molto anche a lui: “Non so come ho fatto a tenere le mani lontano da loro”. Negli ultimi versi del pezzo cita anche Nabokov.
In Europa la trasformazione della collegiale in figura sensuale inizia già dalla prima metà del secolo sul grande schermo. Nel 1931 fece scandalo un film ispirato all’opera teatrale poi romanzo di Christa Winsloe, “Ragazze in uniforme”, ambientata nell’Ottocento. Descriveva l’amore lesbico di una studentessa nei confronti della sua insegnante e fu distribuito pure in Italia, sfuggendo alla censura fascista. Il film ha avuto remake più famosi con Romy Schneider nel 1958 e “Loving Annabelle” (2006). Nel 1941 uscì la versione italiana ma eterosessuale della vicenda, “Ore 9: lezione di chimica”, in cui l’eroina di turno si innamora del suo professore e riesce a sposarlo, niente a che vedere col finale tragico del suo parente tedesco. Uno dei meriti del film, ora dimenticato, era di far vedere che anche le ragazze di un collegio potevano avere pulsioni sessuali, seppur mostrate in maniera moderata per l’epoca castigata. Le protagoniste avevano la classica divisa inglese del grembiule o grembiuli bianchi sopra degli abiti-tunica a righe orizzontali.
La kogal giapponese
In Giappone a metà degli anni Ottanta le ragazze sono state “deformate” in caricature ipersessualizzate da manga, anime e videogiochi per adattarsi alle esigenze di un pubblico maschile di otaku (persone con un interesse ossessivo) tagliato fuori dagli appuntamenti e dal matrimonio. I ragazzi giapponesi erano affascinati dalle studentesse ma allo stesso tempo impauriti dal loro essere sfrontate. Il Giappone ha anche usato politicamente la popolarità della figura della studentessa, kogyaru o kogal, coinvolta in appuntamenti con uomini adulti in cambio di regali e denaro (enjo kosai, il fenomeno globalmente conosciuto come sugar daddy) per tentare di affossare la nuova indipendenza culturale delle donne giapponesi.
L’immagine erotica della studentessa giapponese è talmente forte che è sopravvissuta fino ai giorni nostri. Il fumetto più recente sull’argomento è “La divisa scolastica di Akebi” di Hiro (Edizioni BD), recentemente trasformato in anime. Per quanto sia presentata come una serie “slice of life” con lo specifico obiettivo di “guarire”, non si può fare a meno di notare l’occhio del disegnatore che mostra morbosamente ogni parte anatomica del personaggio e delle sue amiche. Akemi entra in classe e trova la sua futura migliore amica che si recide le unghie dei piedi con un tagliaunghie perché dice che il suono la calma. Una scusa per mostrare il piede nudo, un feticismo molto diffuso nel Sol Levante.
Una possibile spiegazione al fetish per la gonna da studentessa
La fissazione per la gonna rientra nel fetish per le uniformi: si può derivare piacere sessuale dal vedere una persona vestita con una gonna scolastica o dall’indossarne una. È il feticismo più diffuso nel mondo. Nell’universo erotico giapponese, in particolare, è predominante la figura della kogal che fa parte della subcultura gyaru, che incorpora le divise scolastiche nel modo di vestire quotidiano. L’appeal dell’uniforme risiede nel donare un’immagine più giovane e virginale a chi la porta. Nel role play, in genere, la persona che indosssa la divisa ha un ruolo sottomesso, al contrario del partner che impersona il dominatore insegnante.
Secondo Valerie Steele nel libro “Fetish”, ci sarebbe una spiegazione sul motivo per cui gli uomini avrebbero sviluppato schemi di eccitazione sessuale altamente orientati sul piano visivo così da accoppiarsi con qualsiasi femmina “attraente”, cioè apparentemente riproducibile. Per lo psicologo Glenn Wilson, non è un caso che l’area cerebrale responsabile della sessualità maschile assertiva sia una parte dell’ipotalamo vicina al sistema di imput visivo (il nucleo preottico). “Se la sessualità maschile si è evoluta per essere ‘target-seeking’ (ricerca di un bersaglio) – afferma – questo può essere una ragione perché gli uomini sono particolarmente inclini alle distorsioni di inclinazione sessuale che chiamiamo parafilie”. La ricerca di Wilson sulle fantasie sessuali rivela differenze di genere sorprendenti, tra cui una maggiore enfasi nelle fantasie degli uomini su temi visivi, voyeuristici e feticistici. Fantasie maschili spesso includono riferimenti a capi di abbigliamento, tra cui la divisa da infermiera o quella da studentessa.
La piaga dell’upskirting
Negli ultimi anni sempre più ragazze indossano pantaloncini da ciclista o simili sotto le minigonne. A volte sono le stesse scuole che lo consigliano, altre impongono i pantaloni per tutti, come difesa per evitare che in quelle miste gli individui di sesso maschile facciano foto o video non richiesti sotto la gonna, quest’ultimo chiamato upskirting. In Inghilterra e Galles è diventata reato nel 2019 dopo che una vittima, la scrittrice Gina Martin, ha lanciato una campagna per raccogliere 50 mila firme a favore della penalizzazione. Ora i colpevoli rischiano fino a due anni di carcere. È reato anche in Scozia, Francia, Germania, Australia e India ma non Italia. Nella nostra nazione, però, l’upskirting rientra nell’articolo 612-ter, che punisce in modo generico la diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti.









Mi è piaciuto molto questo articolo, il modo di vedere diverse prospettive è risultato anche culturalmente valido. Grazie!
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Grazie mille, mi fa molto piacere tu abbia apprezzato! 🙂
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