La cara vecchia Befana, dea della fertilità e della nascita

Ogni anno ci domandiamo che senso abbia festeggiare una ricorrenza che sembra essere solo per i più piccoli. Ci trasciniamo annoiati al tavolo da pranzo, riempiamo calze di dolci e caramelle o ci travestiamo da Befana per amici e parenti. Per cercare di spazzare via la tristezza serale da fine ferie natalizie andiamo a qualche festa trash dove viene eletta la Befana più sexy, un branco di streghe col cappello a punta scappato da Halloween, e se indossiamo il costume in questione, ci rallegriamo del fatto che almeno quest’anno non ci vestiremo a Carnevale. Avevamo perso il senso di questa festa già quando Mussolini distribuiva pacchi dedicati alla vecchietta nazionale.

Ma chi è la Befana e cosa diavolo ha a che fare con questo blog? Si tratta della dea Diana che presiede i cicli lunari. In Italia è la divinità della fertilità che, a partire da Santo Stefano, passa sui campi a seminare per dodici giorni. Diana si è fusa con la greca Artemide, che presiedeva anche la caccia, ma la sua origine risiede nella dea Dia dell’antica religione romana, che garantiva la crescita del raccolto e assomigliava a Cerere/Demetra. Il nome Dia deriva da luce, e proprio grazie a quest’ultima i semi potevano prosperare in buoni frutti. Le donne la invocavano per rimanere incinte. Il suo aspetto era quello di un’anziana rappresentante la fine dell’anno, che in genere veniva bruciata sotto forma di fantoccio, scopa o fascio di legna. Vi ricorda qualcosa? La miriade di falò che si accendono sotto l’Epifania in Italia, derivati appunto da usanze contadine. In Veneto ci si riferisce a questa consuetudine proprio con la frase “brusàr la vecia” (bruciare la vecchia). Si ardeva la vecchia per lasciarsi il passato indietro e accogliere il nuovo che sarebbe risorto dalle ceneri. Addirittura, a seconda della direzione che prendeva il fuoco in balia del vento, si poteva divinare il futuro.

Il Canon Episcopi, scritto dall’abate Regino di Prüm attorno al decimo secolo e rivolto ai vescovi, vieta alle donne di pregare la dea Diana. In un passaggio si legge: “Certe donne depravate, le quali si sono volte a Satana e si sono lasciate sviare da illusioni e seduzioni diaboliche, credono e affermano di cavalcare la notte certune bestie al seguito di Diana, dea dei pagani (o di Erodiade), e di una innumerevole moltitudine di donne; di attraversare larghi spazi di terre grazie al silenzio della notte profonda e di ubbidire ai suoi ordini come a loro signora e di essere chiamate certe notti al suo servizio“. Da quel momento in poi la dea fu assorbita dalla Chiesa come una figura ambigua, ridicola e innocua: la Befana.

La calza con i doni è il simbolo della ninfa Egeria, nella cui grotta i romani appendevano calze con cibo e buoni auspici. Tra i Celti che popolavano la pianura Padana il carbone richiamava la fertilità dei campi, i sacri falò, il ceppo e quindi portava fortuna per il nuovo anno (anche se quello celtico inizia dopo il 31 ottobre). La scopa era collegata alla saggezza degli alberi e ai rituali nella foresta, il camino era una sorta di passaggio tra due mondi: quello soprannaturale e quello reale.

La Befana arriva il 6 gennaio perché dal 25 dicembre si contano dodici notti secondo un’usanza che si dice sia stata iniziata dai cristiani. La tradizione della dodicesima notte risale ai miti nordici e anglosassoni, in cui si parte a contare dal solstizio d’inverno (21-22 dicembre). Tuttavia, è probabile che gli antichi la sapessero più lunga di noi. Non credo sia un caso che questo numero di giorni corrisponda proprio al periodo in cui la Terra e il Sole sono alla minima distanza. Questo fenomeno si chiama perielio e accade tredici giorni dopo il solstizio d’inverno boreale. I dodici giorni corrispondono anche al tempo di semina.

Nel resto dell’Italia c’erano tradizioni interessanti durante l’Epifania che riguardavano la ricerca di un compagno o una compagna. In Toscana c’erano i Befani scelti dalla sorte tramite la composizione di una focaccia in cui veniva nascosta una fava fresca simbolo di fertilità. Chi la trovava diventava regina o re della fava e sceglieva il possibile futuro marito o moglie gettandogli la fava nel bicchiere. Un costume simile è presente anche in Francia e Spagna. In Molise le donne si addormentavano la notte del 6 gennaio sperando di sognare l’uomo della propria vita. A Perugia e dintorni da un rametto di ulivo si staccava una fogliolina fresca, la si inumidiva leggermente con la saliva e la si incendiava su una fiamma. Se la foglia bruciava scoppiettando e muovendosi, era segno che l’amore fosse reciproco, se invece cadeva e bruciava lentamente, indicava che il sentimento non fosse ricambiato. Il massimo dei tentativi consentiti era due.

La Befana è presente anche in Svizzera, Austria e Germania sotto le sembianze di Frau Holle (Holda) e Perchta. Holda è molto simile a Diana e Artemide, garantisce la fertilità di semi, animali e piante, e ricompensa o punisce chi non fa il proprio dovere. Essendo la signora della morte e della rigenerazione risiede in caverne dentro montagne, grandi luoghi di mistero in quanto rappresentanti il ventre materno. I cavalieri medievali si perdevano al loro interno e spesso erano catapultati in luoghi di perdizione, come Tannhauser, che entra nel Venusberg (monte di Venere) per vivere avventure erotiche.

Non proprio una festa per bambini, dunque, ma per adulti consapevoli dei ritmi della Terra e che accettano il tempo che passa. Non si può fermare il tempo ma solo celebrarlo nel suo scorrere portando con sé le cose buone e abbandonando quelle cattive.

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