Esiste una scena in Pomodori Verdi Fritti che mi ha sempre lasciato perplessa fino alla soglia della pubertà. Nella classe di “potenziamento femminile” frequentata da Evelyn Couch (Kathy Bates) vengono distribuiti degli specchi per esplorare letteralmente la propria femminilità, ovvero la vagina. Da piccola pensavo “che bisogno c’è di guardarsela se è lì? Io la vedo.” Ignoravo che col tempo sarebbe stata ricoperta di peli riccioluti e sarebbe stata dimenticata come una foresta stregata.
Noi ragazze ricordiamo di averla al primo *fastidioso* rapporto sessuale. E’ per quello che in preda al terrore e al pizzicore scendiamo lo specchio per vedere se è ancora tutta intera o c’è qualche misterioso taglietto. La osserviamo e ci sembra un corpo alieno. Imperfetta e dalle tonalità variegate la squadriamo come l’interno di un riccio di mare. Alcune di noi imparano a rispettarla e coccolarla col tempo, altre sono destinate a non curarsene a vita.
Ma voler bene esteticamente alla vagina è importante quanto voler bene al pene. Per accettarla in serenità con le sue sporgenze, asimmetrie e imperfezioni basta dare un’occhiata a The Great Wall of Vagina, un “arazzo” di quattrocento calchi di gesso di vagine di ogni tipo, formato, grandezza, dimensione di donne dai diciotto ai settantasei anni offertesi come volontarie. Jamie McCartney è l’artista inglese di arte sperimentale che l’ha realizzato con l’intento di liberare il genere femminile dalla loro maggiore fonte d’ansia, i propri genitali. Il muro lungo nove metri è stato assemblato per combattere la labioplastica, un’operazione chirurgica di ricostruzione delle labbra in pericoloso aumento di popolarità in Gran Bretagna e Stati Uniti. Lo scopo della scultura è far capire che la perfezione non esiste, è noiosa e le donne hanno “differenti vagine come differenti facce”(nell’About). Se volessimo compiere un’azione veramente temeraria, potremo partecipare al casting per un calco sul loro sito oppure potremo vincere la paura anatomica pubblicando la foto delle nostre labbra minori, che a quanto pare causano maggiori problemi “psicologici”, su The Large Labia Project al grido di *TOWANDA!* (n.b. andate a rivedervi Pomodori Verdi Fritti).
Il coraggio più grande, però, come sempre, è metterci la faccia. E spesso non va a finire bene se il paese in cui vivi è particolarmente repressivo. Si tratta del caso di Megumi Igarashi, in arte Rokudenashiko (“cattiva ragazza”), che ha trasformato la sua vagina in un personaggio a fumetti con un terzo occhio in corrispondenza della clitoride. In Giappone la legge stabilisce come reato mostrare genitali fedeli agli originali in pubblico, sia disegnati che veri. E’ stata arrestata e poi rilasciata nel 2014, ed è stata denunciata per aver creato con una stampante 3D un kayak-calco della sua vagina nella quale ha remato. Ieri non ha vinto la causa contro l’accusa ed è stata condannata a pagare 800,000 yen soltanto per aver celebrato la bellezza del suo organo. La buona notizia è che continuerà la sua lotta e proprio oggi uscirà in Canada e USA il suo libro “What is obscenity?” (in Italia il 26 Maggio).
Accettatevi per quello che siete e vi vorrete più bene. Se all’uomo con cui state non sale la voglia di immergerci il viso, non è compito mio dirvi che l’esemplare non si adatta a voi, *ops, l’ho detto*. L’aspetto del fuori non è comparabile alla grandiosità dell’interno. L’importante è il piacere del contenuto.