Una settimana fa sono stata a Londra e ho notato nella Tube la pubblicità di un anello per single verde acqua bombato, il Pear ring. Non mi è chiara l’origine del nome, suppongo richiami uno dei tagli classici dei diamanti degli anelli da fidanzamento, quello a pera. Si pagano 19.99 sterline e arrivano a casa di tre taglie diverse. Secondo il sito della start up che lo ha lanciato, l’esperimento è attivo in Gran Bretagna, Australia, Stati Uniti, Canada, Germania. Lo scopo è incentivare gli incontri dal vivo dato che sembra che un buon 76% (dati di Pear) della popolazione anglosassone si sia stufato delle dating app (la cosiddetta ‘dating app fatigue’). L’anello finora ha riscosso un discreto successo e ne è stata fabbricata una versione Lgbtqia+ di colore lilla.
L’anello per descrivere il proprio status relazionale non è una novità, basti pensare al Claddagh che a seconda di dove era rivolta la punta del cuore, indicava lo stato libero o impegnato. La comunità Lgbtqia+ usa da sempre accessori di riconoscimento per segnalare la propria appartenenza o disponibilità. Il problema è che andare in giro come dei semafori in una società patriarcale potrebbe avere i suoi problemi, soprattutto per le donne. Spesso la disponibilità viene letta in modo estremo come qualcuno che è disposto a fare sesso nei primi cinque minuti e potrebbe attirare persone indesiderate. L’ideale sarebbe indossarlo soltanto di fronte a chi ci interessa e toglierlo quando si è raggiunto lo scopo. Il rischio di portarlo sempre potrebbe ghettizzare. Voi cosa ne pensate?




Però anche l’idea dell’anello che segnali la disponibilità alla copula in 5 minuti non è male…
E anche quello per già impegnati ma non troppo.
Potremmo lanciare una start-up per realizzare prodotti di sicuro successo. Pensaci.
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